Alluvione Emilia-Romagna: colpa (anche) dell’ambientalismo ideologico?

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Giorni drammatici in Emilia-Romagna, completamente sommersa dall’acqua che in queste ultime settimane si sta riversando senza sosta. Più di quindici vittime e quaranta mila sfollati sono i primi dati importanti da sottolineare, a fianco sicuramente dell’immenso costo economico che il nostro paese dovrà sostenere nei prossimi anni. Non solo colpa, però, della Dea Sfortuna: decenni di “abbandono” statale e assenza di investimenti sono state le prime cause a portare all’alluvione e – come sempre – una poca considerazione del solito e immenso problema del cambiamento climatico, causa di una lunga siccità della durata di quasi due anni.

Nel seguente articolo, tuttavia, andiamo ad analizzare due progetti che negli ultimi decenni sono stati letteralmente boicottati dall’ambientalismo ideologico e che, sicuramente, avrebbero potuto salvaguardare i territori oggi colpiti dall’alluvione.

 

La Diga di Vetto contro l’alluvione

Prima Repubblica. Durante quell’Italia “in bianco e nero”, Giovanni Marcora fu a lungo ministro dell’agricoltura per la DC. Eletto per quattro legislature e primo promotore di una legge sull’obiezione di coscienza (nel 1972), fu autore e origine di una possibile opera idraulica che avrebbe potuto regolare il regime del “ribelle” fiume Enza, al confine tra le province di Parma e Reggio. La Diga di Vetto d’Enza appartiene a quel tipo di progetti evitati dagli ambientalisti, ma che pare aver condannato Faenza e dintorni durante l’alluvione di questi giorni.

Tornando al passato, infatti, il ministro Marcora stanziò nel 1988 un progetto di trenta miliardi di lire per la costruzione: esso prevedeva un invaso di cento milioni di metri cubi d’acqua, da utilizzare sia per irrigare i campi che le zone urbane limitrofe. Tale opera, però, vide luce per brevissimo tempo, dato che i lavori furono sospesi solo un anno dopo a causa di molteplici ribellioni sul possibile impatto ambientale. I finanziamenti sfumarono e, da allora, la Diga di Vetto non è altro che l’ennesimo capitolo delle grandi opere incompiute in Italia, consumata dal braccio di ferro tra le ragioni degli operatori economici della zona e quelle degli ambientalisti.

Per ironia della sorte, però, poche settimane fa (e pochi mesi prima dell’attuale drammatica alluvione) il dossier dell’invaso di Vetto è tornato nelle mani dei vertici della nostra penisola. La Regione ha dato il via libera ad una nuova progettazione, grazie ai 3,2 milioni di euro messi a disposizione dal governo. Nel frattempo di acqua ne è passata sotto i ponti, come sottolineato anche dal geometra Lino Franzini, intervistato da “Il Parmense”: “Se oggi si è tornati a parlare della necessità di realizzare la Diga di Vetto il merito è forse perché ci si è stancati di vedere che centinaia di milioni di metri cubi di limpide acque dell’Enza […] vengono mandate al Po e a mare, per poi gridare ai danni della siccità”. L’alluvione di queste settimane è solo il dramma più grande di altrettanti avvenuti anni fa: l’alluvione di Baganza nell’ottobre 2014, l’alluvione dell’Enza il 12 dicembre 2017 e, infine, nel 2022, la più grande siccità di cui si ricordi che prosciugò quasi del tutto il fiume e mettendo alle corde le aziende della Parmigiano Reggiano.

 

Il caso del fiume Misa

Un déjà vu quello che le Marche e i dintorni del fiume Misa stanno vivendo in questi giorni, in ricordo dell’alluvione del 15 settembre 2022 che portò alla morte di dodici persone. La pericolosità dell’area è ben nota e già nel 1986 furono stanziati differenti fonti per la messa in sicurezza degli argini del fiume per evitare, appunto, alluvioni. Così non è stato: le quattro aree di laminazione – che sarebbero servite a far defluire la piena – sono ancora in fase di approvazione dopo trentasette anni, dopo che convogli di ambientalisti hanno criticato i danni territoriali che il progetto avrebbe potuto portare.

In periodi dell’anno come questi, però, quando gli Appennini raccolgono molta acqua e la fanno confluire nel fiume, le esondazioni tendono a minacciare tutte le zone limitrofe, proprio come sta accadendo in queste settimane. Critiche sostenute anche dall’ingegner Stefano Stefoni (direttore del Genio civile di Ancona dal novembre 2019 al dicembre 2021, a capo della Protezione civile delle Marche dal 2022), in contrapposizione all’ambientalismo ideologico che ancora rallenta i progetti come questo e intervistato da Il Foglio: “Mi dice come fa il rappresentante di un comitato cittadino, che magari nella vita fa tutt’altro che l’ingegnere, a dire che le vasche di espansione sono inutili? […] Qui c’è un mondo che ci studia dietro e poi arriva qualcuno e dice che le vasche sono inutili”. E ancora: “La priorità è la sicurezza. Oggi, invece, prevalgono altri aspetti. Quando il Genio civile propone un intervento per la messa in sicurezza di un fiume si sente rispondere ‘Sì, te lo faccio fare, però mi metti la pianta lì’, oppure ‘L’argine me lo fai col castagno invece che con il leccio’. Ma di cosa stiamo parlando?”.

 

Di seguito, il link per un approfondimento riguardo l’ambientalismo italiano di “Ultima Generazione” e quello inglese di “Just Stop Oil”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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