La carestia nel Corno d’Africa

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Tredici milioni di persone vivono, o meglio, sopravvivono oggi nel Corno d’Africa, penisola sul lato orientale del continente africano e comprendente come Stati principali Kenya, Eritrea ed Etiopia. Famosa a livello geopolitico per la sua estrema povertà e instabilità politica, occupa da anni gli ultimi posti nella graduatoria dell’indice di sviluppo umano. Abbiamo già analizzato le difficoltà governative dell’Etiopia (articolo: “La crisi umanitaria in Etiopia”), ma anche gli altri due Stati citati non sono da meno, nei quali il problema principale è di carattere ambientale colpendo le popolazioni locali con carestie e siccità prolungate.

La Somalia vive da anni una situazione di instabilità sotto tutti i fronti: nel 2020, in aggiunta alla precarietà  politica e alla massiccia presenza del terrorismo islamico, nuove minacce si sono aggiunte nel territorio: l’epidemia di coronavirus, l’invasione delle locuste e le forti inondazioni che hanno distrutto le località marittime, provocando circa 500.000 sfollati interni, sommandosi ai già 2,6 milioni di profughi degli anni precedenti. Secondo il Rapporto “Indice Globale della Pace” dell’Istituto per l’economia e la pace di Sydney del 2018, la Somalia sarebbe al 159° posto su 163 Paesi censiti: in Africa, peggio di lei solo Sudan, Afghanistan, Iraq e Siria. Le ottimistiche prospettive per la consolidazione di istituzioni democratiche stanno scemando di giorno in giorno a causa del continuo rinvio delle elezioni, provocando violente manifestazioni nella capitale Mogadiscio. 

Fame, carestia, siccità e povertà non colpiscono solo i Paesi democraticamente “inferiori”. Il Kenya è una Repubblica Presidenziale indipendente dal dicembre 1963, che nelle elezioni di marzo 2013 ha sancito ufficialmente il passaggio al sistema presidenziale puro, al cui interno troviamo ampio spazio per le autonomie locali e maggior libertà per ideali democratici. Il nuovo governo, però, fin dall’inizio del suo mandato è stato chiamato ad impegnarsi per risolvere la sfida delle carenze strutturali e infrastrutturali, assieme alla necessità di una maggiore coesione e stabilità sociale in un contesto ancora caratterizzato da una elevata disparità nella distribuzione delle ricchezze. Come in Somalia, il settore della sicurezza è costantemente chiamato all’opera: oltre alla criminalità comune, la minaccia del terrorismo islamico pervade le strade di Nairobi, sconvolta da decenni dall’utilizzo giovanile della Colla, droga proveniente dalle scarpe dei calzolai e dal carburante per gli aerei, venduto illegalmente a pochi centesimi. 

Il Corno d’Africa, di fianco a tutti questi problemi socio-politici, sta affrontando il grande tormento della siccità, distruttrice dei raccolti e causa di una elevata mortalità animale, costringendo le famiglie rurali ad abbandonare le proprie abitazioni. Da tre anni non si registra una vera stagione delle piogge e la regione affronta le sue condizioni più aride dal 1981. La Somalia, in particolare, sta rivivendo un incubo: “La situazione richiede un’azione umanitaria immediata”, afferma una nota del World Food Programme, allo scopo di scongiurare il ripetersi di una crisi come quella che colpì il Paese nel 2011, dove 250.000 persone sono morte di fame durante una ennesima siccità.

La prolungata carestia non fa altro che innalzare i prezzi alimentari. Secondo il barometro mensile pubblicato il 2 dicembre dall’Organizzazione mondiale per l’agricoltura e l’alimentazione (FAO), in un anno l’indicatore che aggrega i prezzi sui mercati internazionali di diversi prodotti di base (cereali, zucchero, oli, carni, ecc.) è salito di oltre il 27%, a danno principalmente delle popolazioni africane. Questa inflazione, oltre a sollevare lo spettro della crisi alimentare del 2007-2008, aumenterà il conto degli Stati africani che dipendono dalle importazioni: l’Africa, in generale, importa un terzo dei cereali consumati e il prezzo del grano sta raggiungendo i medesimi livelli del 2011. 

Secondo il WFP sono necessari più di 280 milioni di euro per soddisfare i bisogni immediati nei prossimi sei mesi, di fronte a shock climatici sempre più asfissianti (articolo: “Il razzismo ambientale”), con una paura di una crisi alimentare su larga scala sempre meno nascosta e che porterebbe alla morte di milioni e milioni di persone. 

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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