“Non è che prendiamo alla leggera le questioni ambientali, ma sì, amiamo le miniere, noi socialdemocratici. Quindi sì, spero di poter aprire e autorizzare diverse nuove miniere”. Sono queste le osservazioni del ministro dell’Industria, Karl-Petter Thorwaldsson, il 30 novembre 2021, durante la presentazione del neo governo guidato da Magdalena Andersson e riguardo il progetto della miniera di ferro di Kallak. Le preoccupazioni dell’opposizione e dei cittadini sono state confermate martedì 22 marzo, quando il governo ha dato il via libera ad un nuovo progetto minerario controverso, riportando in gioco non solo gli innumerevoli problemi ambientali, ma anche le già passate manifestazioni violente delle popolazioni locali, in particolare quella Sami.
Negli scorsi anni, i progetti minerari sono aumentati in tutto il Nord Europa, con le compagnie estrattive che hanno il controllo su più del 15% della penisola scandinava, del 25% dell’Irlanda del Nord e fino al 27% della superficie dell’Irlanda. Tale dinamica è caratterizzata da progetti e comunicazioni che vertono su obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale molto lontani dalla realtà e basati su forti strategie di “greenwashing” (presupposto di ingannare il consumatore utilizzando pubblicità e comunicazione aziendale con riferimenti all’ecologia e alla sostenibilità per occultare il reale impatto ambientale negativo). A fronte di tali menzogne strategiche, diversi attivisti e molte associazioni che combattono per la tutela dell’ambiente hanno voluto portare a galla la verità, evidenziando i sempre più controversi progetti minerari, accettati senza problemi dai governi nordici. Per esempio, la compagnia statunitense Orion Mining Finance ha ottenuto concessioni per il 10% dell’intera superficie dell’Irlanda del Nord, sulla quale prevede di realizzare un enorme distretto minerario per l’estrazione dell’oro, mostrando e sperando di essere la prima compagnia in Europa a compensare totalmente le proprie emissioni di CO2. Gli attivisti, però, raccontando una storia completamente differente: “Le comunità locali hanno protestato a lungo perché il governo obbligasse Dalradian Gold (nome della compagnia irlandese acquisita da Orion Mining Finance) a rimuovere dal progetto minerario l’utilizzo di cianuro […] Inoltre la compagnia si è affrettata a modificare la comunicazione del piano che adesso non prevede più solo l’estrazione di oro, ma anche quella di rame e argento”. Anche secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), i processi estrattivi contribuiscono in maniera significativa al peggioramento della crisi climatica e sono attualmente responsabili circa del 10% delle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera terrestre. Sono già molti, su scala globale, le catastrofi causate dalle rotture o malfunzionamenti dei grandi bacini di immagazzinamento dei residui post estrazione mineraria: “Pensiamo a disastri come Mount Polley in Canada, al cedimento della diga nella miniera di rame ad Aitik in Svezia, oppure a quello avvenuto in Brasile, nella miniera di ferro di Samarco Mariana”, ha evidenziato Hannibal Rhoades, capo del progetto Beyond Extractivism per il “The Gaia foundation”.
Torniamo, così, in Svezia, dove da nove anni proseguono forti manifestazioni da parte della popolazione indigena Sami. Nel 2013, la polizia svedese disperse una protesta organizzata dalla comunità contro le esportazioni di minerale ferroso all’interno di un’importante area per il pascolo delle renne e la transumanza, durante la quale i manifestanti avevano bloccato una strada utilizzata dalla compagnia britannica Beowulf Mining durante le operazioni d’estrazione. Così come allora, anche oggi il progetto nella miniera di ferro di Kallak porta tanta delusione alla popolazione locale. Il malcontento mostrato dai Sami e le grandi emissioni di gas serra ha portato la giovane attivista Greta Thunberg a voler esprimere il proprio pensiero a riguardo di ciò che sta accadendo, la ragazza si è detta rammaricata per questa scelta che “non rispetta il principio del consenso libero, preventivo e informato, nonché i diritti delle popolazioni indigene, e non pone le basi per la riconciliazione tra lo Stato svedese e il popolo sami”. La miniera non bloccherebbe solo i pascoli utilizzati dai pastori di renne, ma le infrastrutture necessarie per la lavorazione e il trasporto andrebbero a bloccare i percorsi di transumanza, attraversando un sito classificato nel 1996 dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità per via del suo “eccezionale valore universale”.
È un ennesimo progetto controverso, che pone molti punti di domanda sul governo svedese e sul suo concreto interesse verso il rispetto e la protezione di tutta la popolazione locale. È un prospetto che rischia non solo di alimentare il peggioramento climatico, ma di costringere le popolazioni indigene a manifestare contro la decisione governativa. Tutto ciò, però, sembra non interessare alla Svezia, Stato che ha dato una buona indicazione delle decisioni che potrebbero essere prese in futuro e, soprattutto, mostrando come i profitti economici vengano prima di tutto.