Acqua cristallina, spiagge dorate e natura incontaminata. Questo paesaggio paradisiaco che contraddistingue il Madagascar è stato completamente distrutto dal passaggio del ciclone Batsirai, che con i suoi venti a 200 km/h ha trascinato il Paese in una grave emergenza umanitaria. Il 5 febbraio, il tornado ha colpito il sud-est e il centro della repubblica insulare dell’Oceano indiano, causando gravi danni alla flora e fauna del territorio ma soprattutto alla già povera popolazione locale.
Questo evento distruttivo ha interessato, nella notte da sabato a domenica, prima un’area costiera di 150 chilometri, per poi schiantarsi sul centro dell’Isola, altamente popolata e caratterizzata dalle principali coltivazioni di riso.
Secondo l’Ufficio nazionale per la gestione dei rischi e dei disastri e le autorità locali, sarebbero centodieci i decessi, provocati principalmente dall’esondazione dei fiumi e in quei distretti dove il ciclone tropicale ha raso al suolo le abitazioni. 87 di queste, come ha specificato il Bngrc (Agenzia nazionale per la gestione delle calamità), solo nella zona di Ikongo, distretto vicino alla costa orientale dell’isola e che dalle immagini di un reportage del “Die Zeit” è stato completamente sommerso dalle acque.
Di fianco ai numerosi morti, sono 75mila gli sfollati, bisognosi con urgenza di assistenza umanitaria e pronto soccorso. Alcune aree del Paese risulterebbero irraggiungibili, rendendo ancora più difficoltoso il lavoro dell’Unicef e altre organizzazioni internazionali giunte in loco a supporto della popolazione. Acqua sicura, servizi igienici, medicinali e cibo sarebbero i beni primari scarseggianti: “Non conosciamo ancora bene la portata di questa crisi, ma è chiaro che ricostruire vite e infrastrutture richiederà sforzi intensi”, ha affermato il rappresentante dell’Unicef in Madagascar Jean Francois Basse.
Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici non sono “democratici”, non colpiscono in materia egualitaria e, come già mostrato in precedenti articoli, vengono colpite le zone più povere del nostro pianeta (articolo: “Il razzismo ambientale”). È il caso del Madagascar: pur essendo uno degli ultimi produttori di gas serra al mondo – con appena lo 0,01% delle emissioni globali – sta attraversando un durissimo periodo di carestia, un allarme lanciato da tempo dall’ONU ma ben poco considerato. Oltre un milione di persone non hanno cibo sufficiente e, secondo il Programma alimentare mondiale (PAM), per 30.000 abitanti la carestia ha raggiunto il “livello cinque”, il più alto registrabile.
Da quattro anni ormai si registra questa situazione, in costante peggioramento dopo i continui eventi meteorologici conseguenti il cambiamento climatico: violente e inaspettate tempeste, inondazioni e, infine, il ciclone Batsirai. Nonostante il suo “ridicolo” peso nell’inquinamento globale, il Madagascar è una delle prime vittime di una carestia causata dall’attività umana, unendosi, per esempio, a quella che attualmente sta distruggendo tutte le zone del Corno d’Africa (articolo: “La carestia nel Corno d’Africa”).
Non solo gli esseri umani; il Madagascar è un enorme patrimonio per la biodiversità: l’isola, così lontana dall’Africa, ha permesso di sviluppare al suo interno specie che non esistono in alcun altro paese del mondo, comprendendo il 98% dei mammiferi e il 91% dei rettili. La foresta rappresenta la principale fonte economica ed energetica locale: oltre il 90% dell’energia proviene infatti dal legname che viene usato per ardere o trasformato in carbone. È un paradiso che, però, si sta trasformando in un inferno, e la colpa non è altro che nostra; non però della popolazione locale, ma del resto del mondo che chiude gli occhi di fronte ad eventi drammatici che stanno annientando tutta l’Africa in generale.