L’impatto del megaprogetto di sfruttamento petrolifero della compagnia francese TotalEnergies in Uganda verrà nuovamente esaminato dai tribunali parigini. Dopo l’azione respinta nel marzo 2023, martedì 27 giugno Friends of the Earth Survival, tre associazioni ugandesi e ventisei agricoltori locali direttamente interessati hanno intentato un’azione per risarcimento danni contro la major, ai sensi di una violazione della legge francese sull’obbligo di vigilanza aziendale. Analizziamo, di conseguenza, il progetto francese e l’opposizione dell’Uganda.
Il megaprogetto di TotalEnergies in Uganda
Oltre un anno e mezzo fa, nei primi giorni del 2022, la China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) e la società francese TotalEnergies raggiunsero l’accordo per investire 10 miliardi di dollari in un progetto di estrazione del petrolio in Uganda, una delle regioni più ricche di biodiversità di tutta l’Africa e del mondo. Una consonanza che arriva sedici anni dopo la scoperta delle grandi riserve petrolifere nel Lago Albert, luogo di confine naturale tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo.
Il progetto, nel dettaglio, prevede piani per la trivellazione petrolifera in differenti riserve naturali, per un totale (secondo le stime) di 6,5 miliardi di barili di greggio. Estrazione che, tuttavia, dovrà essere accompagnata dall’importazione del petrolio del mercato: problema che verrà risolto dalla costruzione di uno degli oleodotti più lunghi del pianeta, che porterà il carburante fino alla costa della Tanzania, ad oltre 1.400 chilometri di distanza.
Già ai tempi, differenti ONG si opposero al megaprogetto, sottolineando come finirebbe per “sfollare migliaia di famiglie, mettere in pericolo le risorse idriche di milioni di ugandesi e tanzaniani, devastare ecosistemi vulnerabili e spingere il mondo ulteriormente nel caos climatico”, come affermò in una nota il direttore regionale del gruppo 350Africa.org, Landy Ninteretse. Preoccupazioni “dolcemente” accantonate dal presidente-dittatore ugandese Yoweri Museveni: “Lascia che le ONG vadano a dormire nella boscaglia se vogliono… Non c’è niente che stiamo nascondendo”; parole accompagnate, inoltre, dalla repressione di 54 organizzazioni non governative per presunta inadempienza.
La risposta delle ONG
“Total ha fallito nel suo dovere di diligenza”, spiega Juliette Renaud di Friends of the Earth. “Le famiglie sono state private della loro terra e dei loro raccolti senza ricevere un preventivo e adeguato indennizzo. Impedendo loro di coltivare i loro campi, è stato violato anche il loro diritto al cibo. Molti sono stati minacciati e intimiditi da regimi la cui natura autoritaria l’azienda non poteva ignorare. Total avrebbe dovuto identificare e prevenire questi rischi come richiesto dalla legge adottata nel 2017. Ci aspettiamo che la giustizia francese riconosca questi danni e ordini a Total di ripararli”. Un attacco che sottolinea chiaramente l’intento legale di concentrarsi maggiormente sul danno umano piuttosto che su quello ambientale, in particolare – come affermato in precedenza – sulla legge francese che obbliga la vigilanza aziendale e che, secondo le ONG, non sono state rispettate da TotalEnergies in Uganda. “Non c’è azione di gruppo. Dobbiamo valutare il danno individuale per ogni vittima e dimostrare la responsabilità di Total. Ma se vinciamo, creeremo un precedente”, spera Juliette Renaud.
Una risposta che, tuttavia, ha dovuto scontrarsi per anni con la forza “economico-progettuale” e il silenzio imposto da TotalEnergies; tanto che molte vittime hanno preferito il silenzio piuttosto che attaccare la multinazionale petrolifera. “Molti hanno smesso di lamentarsi perché avevano paura”, racconta Jealousy Mugisha, uno dei pochi contadini che continua a lottare. “Volevo un risarcimento non in denaro per la mia fattoria […] Non voglio i loro soldi. Quello che ci danno non basta per costruire una nuova casa”.