Quarto Paese più grande del mondo come estensione territoriale (più grande degli Stati Uniti e solo dietro a Cina, Russia e Canada), il Brasile del XXI secolo è sicuramente uno degli Stati più importanti ma, allo stesso tempo, uno dei più sottovalutati del mondo. La sua potenzialità in quei settori sempre più centrali nell’economia mondiale è immensa: industria automobilistica, energie rinnovabili, filiera delle telecomunicazioni e l’agro-business. Perchè, però, il colosso latino-americano può essere definito un “gigante dai piedi d’argilla”? (Roberto Da Rin, articolo per “Il Sole 24 Ore” – 10 dicembre 2021)
I dati sul Brasile sono paradossali. Abbiamo già detto essere il quarto paese più esteso del mondo, con una popolazione di 213 milioni di abitanti concentrata principalmente nelle grandi capitali della Federazione brasiliana. Di fianco, un dinamismo e potenzialità di crescita rilevante in quei settori sopra elencati, ma anche investimenti previsti fino al 2023 da €70 miliardi l’anno per dotare il Paese di infrastrutture.
L’altra faccia della medaglia è preoccupante. Secondo i calcoli della “Fondazione Getulio Vargas” (una delle migliori università e tra i più importanti think tank del mondo), disoccupazione, fame e lavoro si stanno moltiplicando: secondo i dati recenti, la condizione brasiliana attuale riferisce come 13 abitanti su 100 si trovino in condizioni di povertà estrema.
Tutti (o quasi) sono d’accordo su quale sia il problema del non-sviluppo brasiliano: Jair Bolsonaro. 38° Presidente del Brasile ed ex Capitano dell’Esercito brasiliano, è dall’inizio del suo mandato (2019) al centro dell’opinione pubblica mondiale. Le sue azioni sono state spesso contraddittorie e limitanti, attirando (parzialmente) l’attenzione delle altre forze mondiali.
Un primo tema di forte ambiguità, gestito nel peggiore dei modi da Bolsonaro, è chiaramente la questione pandemica: “Crimini contro l’umanità, violazione delle misure sanitarie, notizie false e istigazione alla criminalità”; sono queste alcune delle accuse che compaiono nell’indagine fatta dal Senato brasiliano, mostrando come il Presidente sia, di fatto, l’esempio perfetto di cattiva gestione e messo sul banco degli imputati per la sua irresponsabilità, portatrice di 610mila decessi, numero più alto per milione di abitanti (in Italia abbiamo registrato 138.000 decessi, con una popolazione di 60 milioni di abitanti).
Oscurità e confusione anche sul tema ambientale: osserviamo come le sanzioni per reati ambientali siano diminuite di oltre il 40% o come il tasso di deforestazione sia aumentato addirittura del 50%. A tal proposito, stime del 16 dicembre della BBC News riportano come 17 milioni di animali siano stati uccisi durante il processo di disboscamento, una procedura in alcun modo condannata dalla politica e che potrebbe avere conseguenze disastrose per il clima mondiale se non venisse regolata.
Il futuro del Brasile vede due uniche opzioni possibili, di stampo opposto.
Un’aspettativa positiva mostra uno Stato che, inevitabilmente con un cambio di direzione politico, è in grado di divenire in pochi anni una delle “Leading Powers” del mondo globalizzato, sfruttando a pieno quei campi di sviluppo analizzati nell’articolo.
La prospettiva negativa vedrà invece un Brasile ancora in via di sviluppo, limitato da una politica chiusa e “negazionista” verso qualsiasi problema, senza la possibilità di una evoluzione e di un nuovo ruolo nel mondo moderno.