Le tensioni tra Cina e Taiwan hanno radici risalenti al dopoguerra, quando un gruppo di Nazionalisti cinesi, impauriti dal governo comunista instaurato da Mao Zedong, ha deciso di fuggire sull’Isola, rivendicandola e conferendole il nome di: Repubblica Cinese. Gli scontri e le tensioni continuano ormai dal 1949 e la Repubblica popolare cinese sembra più che mai intenzionata ad occupare il territorio che storicamente le spetta.
Il ministro della Difesa taiwanese Chiu Kuo-cheng, ha affermato che la Cina, considerando la sua forza militare e il numero di uomini presenti nell’esercito, potrebbe conquistare “Formosa” (nome dato dai Portoghesi durante l’era delle navigazioni) entro il 2025. In tre anni quindi gli equilibri geopolitici dell’Oriente potrebbero cambiare radicalmente volto.
La “Nazione del Dragone” sembra effettivamente decisa a “riprendersi” l’Isola, tanto che, nel corso di tutto il 2021, diversi cacciabombardieri da guerra cinesi hanno attraversato lo spazio aereo taiwanese con lo scopo di intimidire sia gli abitanti dell’Isola che il governo democratico di Taipei.
Tuttavia sorge una domanda: come mai una superpotenza come la Cina non è ancora riuscita a conquistare un isolotto poco più grande della Sardegna?
Se i protagonisti di tale contenzioso fossero unicamente Cina e Taiwan, quest’ultimo non avrebbe possibilità di vittoria, esso infatti conta un numero di abitanti pari a 24 milioni e l’esercito cinese è formato da sette milioni di unità attive. Per pareggiare la superpotenza comunista, nelle forze armate Taiwanesi dovrebbero arruolarsi più di un terzo della popolazione.
Ciò che preserva l’indipendenza di Formosa è la sua importanza strategica per nazioni come gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia. Taiwan, infatti, è un porto naturale che collega l’Estremo Oriente all’Oceano Atlantico e al Mar Mediterraneo, da cui transita il 60% dei volumi commerciali del pianeta, paragonabile allo Stretto di Panama orientale.
Per questa ragione l’America e il Giappone si stanno schierando con la Repubblica di Cina dichiarando di voler preservare il governo democratico presente nel Paese. Tuttavia, dietro a tale altruismo vi sono ragioni prettamente economiche: Taiwan, infatti, accoglie giornalmente navi commerciali provenienti dagli Stati Uniti d’America, le quali trasportano merci destinate a dilagare nei mercati orientali. Se dovesse scoppiare una guerra, quindi, questa prenderebbe il volto di uno scontro internazionale “a più bandiere”.
L’Isola di Formosa tuttavia, non si accontenta di essere protetta da forze militari esterne. Una nazione che ha da sempre avuto una politica militare fortemente difensiva, nel corso delle ultime settimane ha acquistato una quantità ingente di missili a lunga gittata, programmando di indirizzarli verso la Repubblica popolare cinese. L’isola sta quindi utilizzando quella che in gergo si chiama: “Tattica del porcospino”: non avendo possibilità di vittoria in una guerra frontale, Taiwan ha deciso di chiudersi a riccio, minacciando di far fuoco sulla popolazione cinese nel caso in cui le truppe della superpotenza dovessero dirigersi verso l’Isola con intenti bellici. Un governo diviso e criticato come quello Comunista Cinese non può permettersi di perdere nuovamente consensi: mettere a repentaglio la vita dei cittadini per un’antica ideologia, farebbe scoppiare una guerra civile e la conseguente fine della supremazia politica del governo.
La tensione sale. Né Taiwan, né la Cina sono intenzionati ad indietreggiare: la posta in palio è troppo grande per entrambi gli Stati. Il filo su cui le due Nazioni stanno camminando da circa cento anni si sta consumando ed è destinato a spezzarsi in poco tempo, gettando l’Oriente in una guerra economica che potrebbe costare la vita a decine di esseri umani.