“Il Reddito di cittadinanza continuerà a tutelare chi non può lavorare, ma per chi può lavorare viene abolito alla fine del 2023. Ed inoltre decade al rifiuto della prima offerta di lavoro. Non ha funzionato come doveva”. Il 22 novembre 2022, la premier Giorgia Meloni dichiara l’abolizione del Reddito di cittadinanza a partire dall’anno 2024: fra un anno, una delle riforme più criticate, discusse e controverse d’Italia non avrà più l’effetto giuridico ed economico sperato per la maggior parte delle persone che ne hanno usufruito.
La seguente domanda sorge spontanea: cosa ci sarà dopo il Reddito di cittadinanza? Ritorno al passato o nuovo strumento? Una cosa, però, è certa: un sussidio per combattere la povertà è necessario, soprattutto nel nostro paese.
Il RdC tra problemi e luoghi comuni
“Myth and Measurement” (1995) è un saggio dei premi Nobel David Card e Alan Krueger, al cui interno viene evidenziato come, molto spesso, le politiche pubbliche sono accompagnate da luoghi comuni o critiche senza evidenze. Il Reddito di cittadinanza, di fronte alla crescente povertà nel corso degli anni, è un esempio di questa politica pubblica, anch’essa al centro di numerose critiche da parte della popolazione e dall’opposizione al governo. Ormai introdotta dal marzo 2019, lo strumento del governo Conte ha caratterizzato le prime pagine dei giornali e dei social durante tutto il periodo pandemico e non, permettendo di arrivare a stime (abbastanza) certe sull’affidabilità e problematiche di questo sistema.
Ad oggi, sono poco più di due milioni i percettori del Rdc, esponenzialmente aumentati durante il periodo di pandemia (+ un milione di richiedenti). In particolare, il supporto economico è stato richiesto prevalentemente da famiglie con redditi medio-bassi, con maggiori difficoltà ad affrontare spese impreviste, famiglie monocomponenti e coppie con figli. I maggiori beneficiari sono stati rilevati nel Mezzogiorno, anche se una domanda non soddisfatta si registra principalmente nel Nord-Est. Inoltre, secondo lo studio de “lavoce.info” sull’Indagine Inapp-Plus 2021, per oltre il 77% delle famiglie beneficiarie il Reddito di cittadinanza è stato una risorsa indispensabile: nel dettaglio, fondamentale per il 27% ed essenziale per il 50%.
I problemi, tuttavia, “compaiono” nel momento in cui si legge il numero di euro investiti per la riforma: nei primi tre anni sono stati spesi 23 miliardi, raggiungendo 2,2 milioni di nuclei familiari e 4,8 milioni di persone (l’8% della popolazione italiana). Inoltre, di questi oltre due milioni di beneficiari del Rdc per almeno 11 mensilità, oltre l’80% non ha ottenuto alcuna posizione lavorativa nello stesso anno. L’altro grande problema, perciò, è l’inaffidabilità e inefficienza dei centri di impiego: secondo sempre le analisi dell’Inapp, la gran parte delle persone trova lavoro grazie ai canali informali (amicizie o parentele), mentre i centri appositi conducono al lavoro poco più del 4% dell’utenza.
Cosa ci sarà dopo il RdC?
Tolto il Reddito di cittadinanza, quale altra misura verrà implementata? Questa domanda è fondamentale – e non del tutto scontata. Abbiamo evidenziato le grandi problematiche di questo strumento, ma la sostituzione con un nuovo supporto alla povertà risulta essere indispensabile. La Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Elvira Calderone assicura che “chi si trova in una situazione di difficoltà continuerà ad essere tutelato”. E le ipotesi sul futuro sono molteplici; ma innumerevoli sono anche i problemi.
Prendiamo, per esempio, il tanto discusso ritorno del Reddito di Inclusione (REI), sussidio contro la povertà introdotto nell’agosto 2017 dal Ministro del Lavoro Poletti. La differenza col passato sarebbe sicuramente un importo maggiore e requisiti meno stringenti, anche se le possibilità di una “riapparizione” sono poco probabili. Soprattutto se leggiamo le dichiarazioni Facebook del dicembre 2017 della stessa Giorgia Meloni: “Secondo le stime dell’Inps il reddito di inclusione, ultima trovata di fine legislatura del Pd per fingere di occuparsi dei poveri italiani, costerà ai contribuenti circa 2 miliardi”. Ma mai dire mai…
Un “rimpatrio” del REI (oltre la bassa probabilità di ritorno) dovrebbe affiancarsi, perciò, ad un miglioramento delle condizioni lavorative e a requisiti meno pressanti: chissà se il nuovo REI assomiglierà più al RdC che al vecchio REI…
Un supporto indispensabile e necessario
La battaglia alla povertà è sicuramente uno dei temi più complicati e delicati che il nuovo governo deve e dovrà affrontare. Soprattutto per due scenari possibili, già sottintesi nei paragrafi precedenti: l’implementazione di uno strumento (come il REI) inefficace e incapace di migliorare le condizioni lavorative degli italiani oppure un sussidio che, inevitabilmente (anche per la forte presenza del Reddito in questi ultimi quattro anni), dovrà assomigliare al RdC più di quanto la stessa Meloni possa immaginare.
A questo punto lasciamoci con un’ultima domanda: in Italia è possibile uno strumento per combattere la povertà senza cadere in casi di frode e truffa?