Crimini di guerra in Ucraina? Noi russi non ci stiamo

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Crimine di aggressione. Crimine di guerra. Crimine di genocidio. Crimine contro l’umanità. Quattro categorie che compongono i più generali crimini internazionali e che, tutti e quattro, potrebbero in qualche modo essere associati all’invasione di Putin in Ucraina. Se per il presidente americano Joe Biden non ci sono dubbi sul dichiarare “genocidio” l’avanzata russa, molti cittadini russi in lutto non riescono a credere come l’Occidente possa affermare con fermezza di essere di fronte a crimini di guerra. 

Facciamo chiarezza. In generale, i crimini internazionali sono atti gravemente lesivi dei valori su cui si fonda la comunità internazionale, comportanti la responsabilità penale degli individui che ne sono autori secondo il diritto internazionale. Crimini contro l’umanità, crimini di genocidio, crimine di aggressione e crimini di guerra: sono le quattro categorie che rientrano nella definizione di “crimine internazionale”. A giudicare gli individui che abbiano commesso tali crimini di rilevanza “mondiale” è la Corte penale internazionale – o Tribunale dell’Aja -, il principale organo giudiziario dell’ONU e istituita a seguito dell’adozione della Carta delle Nazioni Unite nel 1945. In questi “cupi” giorni di guerra, la Corte penale internazionale ha avviato un’indagine sui crimini commessi dall’esercito russo in Ucraina, soprattutto dopo le immagini giunte da Bucha nelle scorse settimane. Mentre la guerra prosegue con la sua tragica scia di vittime e distruzioni e la diplomazia internazionale stenta a far raggiungere il cessate il fuoco e l’apertura di trattative reali, il diritto fa sentire la sua voce contro la violazione dei diritti umani. 

Freschi cumuli di terra ricoperti da un mare di fiori nel cimitero di Stavropol. Stendardi militari con gli emblemi delle unità russe d’élite a decorare le tombe. Su croci di legno sono fissati i ritratti dei soldati, i loro nomi e le date di morte. Quest’ultime segnano tutte giorni dopo il 24 febbraio, l’inizio dell’“operazione militare speciale” del presidente Putin in Ucraina. Tra i cittadini russi a piangere i propri familiari c’è anche Dmitrij, occupato a porre garofani rossi sulla tomba del suo ex compagno paracadutista, l’ufficiale Sergei Tysyachny. Intervistato dalla BBC News, dimostra subito la grande indignazione di fronte alla reazione internazionale dopo le immagini e le notizie di Bucha e le città limitrofe: “Non credo a questi falsi. Non ci crederò mai”, afferma Dmitrij: “So come il mio comandante, Sergei, ci ha insegnato ad agire. Mi fido dei miei compagni e del mio esercito. Non farebbero mai cose del genere”. Anche la moglie dell’ufficiale Sergei si rifiuta di credere che i soldati russi abbiano commesso atrocità, neanche di fronte alle immagini a lei mostrate. Stessa situazione nella Chiesa di Kostroma, dove un sacerdote ortodosso ogni giorno cammina intorno alle bare recitando preghiere e facendo oscillare un vaso di metallo decorato. Le vedove e i militari non credono alle parole dei giornalisti occidentali. Anche nei momenti di crisi molti russi si radunano istintivamente attorno al suo leader, non credendo che possa aver preso la decisione sbagliata: “La Nato vuole aprire un negozio proprio accanto a noi e ha armi nucleari”, afferma un soldato, “ben fatto Putin. Non li ha lasciati”. “La Russia deve andare avanti fino alla fine”, dichiara la pensionata Nina Ivanovna, malfidente dell’Occidente e delle dichiarazioni di genocidio e crimini di guerra: “Quanto ti fidi delle informazioni che stai ricevendo dalla TV russa?”, chiede un giornalista della BBC News. “Mi fido. Perchè non dovrei? È Internet di cui non mi fido”. 

Da dove proviene questa certezza? La propaganda russa e il messaggio che “L’Occidente ha torto” è – sicuramente – radicata in anni di messaggi televisivi, un controllo delle trasmissioni e delle informazioni per convincere i cittadini dell’assedio della NATO e un complotto mondiale alle loro spalle. Il monopolio mediatico del presidente Putin permette di persuadere con estrema facilità le menti russe, facendole credere della presenza e necessità di combattere i “nazisti” di Kiev. L’accesso a punti di vista alternativi è diventato sempre più difficile. Un popolare sito web di Stavropol ha recentemente pubblicato un articolo sull’intervista della BBC in questi luoghi: “È facile intuire come deve essersi sentita la residente di Stavropol, rimasta vedova da poco, a parlare con giornalisti di un paese complice della morte del marito”.

La guerra in Ucraina è anche (e soprattutto) un conflitto mediatico. Uno scontro di informazioni tra due poli opposti: uno con l’intenzione di mostrare con chiarezza e dolore la devastazione di un’invasione; l’altro con la pretesa di convincere un popolo di ciò che “non ha fatto” e le motivazioni di protezione che hanno spinto Putin alla guerra. Vedremo chi vincerà.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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