Crisi russo-ucraina: presente e futuro

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6 dicembre 2021. I media americani riportano ufficialmente l’allarme di una possibile invasione della Russia ai danni dell’Ucraina. Le testate giornalistiche Cnn e Washington Post accusano Mosca di aver concentrato 175mila unità lungo la frontiera dello Stato ucraino, alimentando tensioni e rischio di un blitz nelle prossime settimane. Le immagini satellitari mostrano le lunghe linee di approvvigionamento russe, stimando un “livello di preparazione e di equipaggiamento che permetterebbe di supportare la guerra per una settimana o dieci giorni. E, nelle retrovie, sono pronti rinforzi per un mese di operazioni”, secondo le parole del comandante supremo delle forze alleate in Europa, Tod Wolters.

 

17 – 21 dicembre 2021. Le preoccupazioni della Federazione Russa su un possibile ingresso ucraino nel “mondo occidentale”, hanno portato a stilare un Trattato sulle “garanzie di sicurezza”, richieste a NATO e USA. 

L’immediato rifiuto della bozza di documenti, ha indotto il portavoce presidenziale russo, Dmitry Peskov, a rendere pubblico il Trattato: la richiesta all’Alleanza era quella di interrompere ufficialmente qualsiasi espansione verso l’Est Europa e verso tutti i Paesi ex-membri dell’URSS, annullando inoltre le conclusioni del vertice di Bucarest del 2008, in cui si annunciò l’avvio della “porta aperta” per Georgia e Ucraina.

Un rigetto che ha spinto lo stesso presidente Vladimir Putin ad annunciare che Mosca “è pronta ad adottare misure tecnico-militari” (21 dicembre) se la NATO dovesse continuare la sua espansione orientale, estensione che non permette una sicurezza certa della sovranità della nazione russa. 

 

10 gennaio 2022. Il concordato vertice Russia-NATO ha condotto, come ci si aspettava, ad un nulla di fatto: l’Alleanza ha rifiutato la pretesa russa di un ritiro delle truppe (anche dalle repubbliche baltiche affiliate alla stessa NATO), lasciando tutto nelle mani dei ministri della difesa dell’Unione Europea. Il partenariato UE-NATO avrà lo scopo, secondo il segretario generale della NATO Jeans Stoltenberg, di mandare “un chiaro messaggio alla Russia che, se ancora una volta deciderà di usare la forza contro l’Ucraina, subirà gravi conseguenze”.

Il vice ministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov, ha affermato l’inutilità del proseguimento con i negoziati, di fronte ad un Occidente non intenzionato a discutere sulle “garanzie di sicurezza” presentate nelle bozze di dicembre, minacciando la possibilità di scelta di “diversi mezzi e metodi” per la protezione degli interessi della Federazione. Questa forte tensione e chiusura reciproca, ha portato ad un chiaro monito dell’OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), riunitasi a Vienna per inaugurare la nuova presidenza polacca: “Ci troviamo davanti al più grande rischio di guerra in Europa degli ultimi trent’anni”. 

 

14 gennaio. L’ultimo evento, causa di ulteriori tensioni, è stato un attacco hacker che alcune agenzie governative ucraine hanno subito. “Ucraini. Tutti i vostri fatti personali sono ora caricati sulla rete. Temi e aspettati il peggio”. Seppur queste minacce, apparse sulle pagine dei siti in ucraino, russo e polacco, hanno aumentato la tensione, sembra che nessun dato sia stato effettivamente messo online. 

Raramente è chiaro chi sia il responsabile degli attacchi informatici. L’attribuzione rimane infatti sempre difficile e incerta, poiché questi tentativi di hacking possono essere camuffati mesi prima e senza grandi difficoltà. Quello che preoccupa è la grave e lunga guerra informatica che l’Ucraina sta affrontando con la vicina Russia, “latore” di grossi danni economici e insicurezza popolare.

 

L’excursus temporale di questi ultimi mesi, mostra un “tavolo da gioco” molto instabile, non nuovo ma preoccupante per entrambe le parti. Due sono le traiettorie possibili dello scontro. 

Un primo corso è quello che vede una effettiva invasione dell’Ucraina da parte della Federazione. Non sarà un evento sconosciuto o mai visto prima, ma che aprirà di conseguenza a due possibilità: o l’invasione porterà ad una (classica) non reazione occidentale, con NATO e USA che indietreggeranno di fronte all’avanzata russa – rimandandoci agli eventi della Crimea del 2014. Oppure, una seconda possibile reazione – forse più preoccupante, ma molto meno fattibile – è una risposta dell’Occidente, quasi certamente dal punto di vista militare e che porterebbe ad una guerra generale. 

Una seconda linea non vedrà il compimento dell’invasione russa. Il timore della guerra prenderà il sopravvento e si giungerà ad un accordo favorevole, principalmente per la Federazione (che consisterà – probabilmente – in una disgregazione parziale delle basi militari nelle ex repubbliche sovietiche). Questo fatto, dal punto di vista “psicologico”, mostrerebbe quella asfissiante e continua ricerca russa di un nemico o, ancora meglio, di un non abbandono della tradizione: il ricordo della “vecchia bella URSS” (ricordata dallo stesso Putin in una dichiarazione pubblica del 12 dicembre) e la voglia di riconquista (tipica nella storia contemporanea di Mosca, recentemente con la Crimea), sono tutti elementi che mostrano quell’esigenza sovietica – quasi malattia – per gli “affari incompiuti”, di cui l’Ucraina ne è un classico esempio.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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