È un buon giorno per essere dittatori

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Sono poche, anzi pochissime, le vere democrazie registrate in tutto il mondo. Secondo il “Democracy Index”, l’analisi condotta periodicamente dall’Economist Intelligence Unit (EIU) che misura lo stato della democrazia in 167 Paesi (164 dei quali membri delle Nazioni Unite), nel 2020 solo 22 nazioni sono state classificate come “democrazie complete”, vedendo ai vertici le solite repubbliche scandinave. Neanche la nostra meravigliosa Italia è considerata tale, al 35° posto della classifica stilata e rientrante nella categoria delle “democrazie imperfette”, aggettivo a noi tanto noto e accollato fin dal tempo del Fascismo, il “totalitarismo imperfetto”. Al di là di numeri e indici, osservando la realtà possiamo effettivamente notare un vero e proprio “crollo” della democrazia: guerre, colpi di Stato, conquiste territoriali, controlli “tecnologici” alla popolazione e genocidi. Eventi, per molti possibili solo negli anni ’40, oggi nascono e rimangono nel XXI secolo, alcuni nascosti dai governi e altri che ci rendono vulnerabili e insicuri perché alle nostre porte. 

È l’ascesa della non democrazia, dei governi non autocratici e legali, il ritorno implacabile del totalitarismo. L’auspicio dello scorso anno è stato l’attacco, il 6 gennaio, al Campidoglio a Washington, sede dell’eterna democrazia americana attaccata senza ritegno dopo incitamenti mediatici da un presidente non eletto; si è concluso, a suon di tensioni al confine tra Russia e Ucraina, precipitato tristemente nell’attuale guerra. Il totalitarismo è “quel sistema politico autoritario in cui tutti i poteri sono concentrati in un’unica persona, un partito o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare la società grazie al controllo dell’economia, della politica, della cultura e alla coercizione fisica”. Questa definizione da dizionario rappresenta solo parzialmente quello che, oggi come nel ’40, molti governi pretendono dai loro cittadini: è l’inserimento di noi tutti in un contesto di sfiducia, di sfida e ricerca verso un nemico, odio verso qualcuno o qualcosa, pretesa di aver ragione e di innalzarsi come “superuomini”. Si instaura la ricerca di un leader e di un capo in grado di esaudire ogni singolo desiderio personale, farsi conquistare la propria anima e, come affermato dalla storica e filosofa tedesca Hannah Arendt, convertirsi ad una religione laica in cui prostrarsi totalmente come fedeli. Il colpo di stato a Khartoum (capitale del Sudan) inneggiata dai cittadini. La guerra etiopica del Tigray guidata dal presidente con tutto l’appoggio popolare. Il partito ultranazionalista indiano di Narendra Modi ancora con piena maggioranza. Pochi esempi di Stati che, seppur lontani da noi, dimostrano una strana e vecchia passione per la guerra, per la xenofobia e per la superiorità del proprio popolo. 

Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto oppure il comunista convinto, ma le persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso”. Le celebri parole della Arendt rimbombano in questi anni di instabile sopravvivenza democratica. In quest’epoca digitale siamo sempre più soli e, in quanto tali, pretendiamo di essere considerati gli “individui-modello”. Siamo bolle e vogliamo essere la bolla più grande. Viviamo in quella che il Direttore del Dipartimento di Scienza politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Damiano Palano, definisce nel suo recente libro “Bubble Democracy”: “Ognuno di noi ha incominciato a rinchiudersi in una sorta di bolla autoreferenziale, costruita su misura sulle proprie convinzioni, sulle proprie preferenze, sui propri gusti”, un’illusione che ci innalza come principi del nostro perfetto regno, in contatto con altri sovrani della nostra stessa idea e con i quali condividere il nostro pensiero limitato alle nostre pareti domestiche. 

Il brutale assalto dato dal presidente russo Vladimir Putin allo Stato sovrano dell’Ucraina, è l’ennesima dimostrazione della sempre più netta separazione del mondo in due campi, quello delle democrazie e quello delle autocrazie, concretizzatosi drammaticamente nei bombardamenti indiscriminati da parte dell’esercito russo verso le città di un Paese che da anni aveva scelto un legame con l’Occidente “democratico”. Questa guerra ha il compito di farci fare un ulteriore passo verso quel modello che noi riteniamo essere il “più giusto”, un altro tassello da aggiungere al totalitarismo o ricordarci che cos’è effettivamente la Terra. Dobbiamo trasportarci su un’astronave fuori dal nostro pianeta, come nel romanzo di Robert A.Heinlein “Orphans of the Sky” (1941), alla ricerca di un luogo dove vivere e riscoprire quella che è la vera realtà di cui dobbiamo circondarci, smettendo di isolarsi all’interno di comode bolle e pregando per fedi distruttive: “L’incredibile, inimmaginabile Terra, quello strano posto dove la gente aveva vissuto all’esterno anziché all’interno”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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