Il 21 febbraio, due giorni fa, il presidente russo Vladimir Putin, in diretta televisiva, ha ufficialmente firmato il decreto di riconoscimento della regione del Donbass e il dispiegamento delle forze armate “per assicurare la pace”. Passi indietro per l’Europa ma enorme avanzamento per la Federazione Russa, dimostrando al mondo il suo carattere “conquistatore” e violando gli accordi di pace di Minsk del 2015, costringendo l’ONU a valutare dopo settant’anni la possibilità di una guerra nel Vecchio Continente. Il discorso del presidente ha obbligato l’intervento sanzionatorio internazionale per la violazione, in primis, del principio dell’autodeterminazione dei popoli, limitando i rapporti esteri dell’Ucraina e annullando la sua storia post Guerra Fredda.
È l’8 gennaio 1918; il Presidente degli USA, Thomas Woodrow Wilson porta nel suo discorso al Congresso americano una nuova concezione dei rapporti internazionali. I suoi storici quattordici punti trascinavano nell’appena devastato panorama delle relazioni internazionali e nella diplomazia occidentale il concetto dell’autodeterminazione dei popoli, quel diritto per cui i popoli hanno la libertà di stabilire le loro frontiere, la libertà nei mari, l’abolizione della diplomazia segreta e la costituzione della Società delle nazioni, con lo scopo di assicurare una pacifica convivenza tra le Nazioni. Sulla consapevolezza del ruolo centrale degli Stati Uniti, spinse tutti gli Stati d’Europa ha indirizzarsi verso una nuova pace giusta, fondando ufficialmente uno dei principi cardine dell’ONU e di ogni Stato democratico.
Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della Carta delle Nazioni Unite, l’attuale principio di autodeterminazione dei popoli è riconducibile alle norme di diritto internazionale cogente, una consuetudine inderogabile (se non con altre norme di pari grado) e una prassi ufficiale per ogni regime politico. Rendendo incostituzionale il colonialismo e consegnato alla Corte Internazionale di Giustizia a dare la piena operatività al principio, un popolo – sottoposto ad un governo – possiede una soggettività internazionale, l’idoneità ad essere destinatario di diritti e obblighi e di esercitare un effettivo potere d’imperio su un determinato territorio.
In un lungo discorso di un’ora, Vladimir Putin ha riscritto, o meglio, cancellato la storia dell’Ucraina e di tutta l’Est Europa. Dai termini imperiali, la predica del presidente ha affermato che “L’Ucraina è stata creata della Russia e ne è parte integrante, per la sua storia e la sua cultura”, una Nazione che dal 1991 ha dichiarato la sua piena indipendenza dall’ormai deceduta Unione Sovietica. Il messaggio è stato tutt’altro che velato: l’attacco diretto al predecessore Lenin per aver promosso l’autodeterminazione delle nazioni all’interno dell’URSS, mostra una negazione totale del forse principio più importante e fondante dell’ONU, di cui la stessa Russia è parte. Il fanatismo e la necessità russa di essere riconosciuta come Superpotenza – parzialmente perso al termine della Guerra Fredda – parte dalla negazione del principio di autodeterminazione dei popoli, non da un attacco militare o un’invasione. La debolezza occidentale ha consegnato alla Russia le chiavi per poter confutare e affermare un assioma occidentale a proprio piacimento, senza preoccuparsi minimamente delle sanzioni e delle conseguenze giuridiche.
Nello stesso discorso, Putin ha firmato il riconoscimento della regione del Donbass, rendendola “parte integrante della storia e della cultura russa” e ricordando agli ucraini le violazioni dei diritti umani nei confronti di questo territorio, caratterizzato da forti correnti filo-russe dopo la conquista della Crimea nel 2014. Come un ausiliario del traffico, il presidente e il suo entourage gestiscono a proprio piacimento se e quando adottare tale principio, se considerare uno dei suoi ex “Paesi cuscinetto” come integranti o meno della cultura russa.
Di fronte ai tentativi ucraini di ribellione, la Russia deve – secondo l’ideale di Mosca – ritornare “ai vecchi tempi”, riportare con qualsiasi mezzo possibile il proprio Impero al grande splendore, indipendentemente dai danni sociali ed economici che questo ritorno porta e porterà a tutto il mondo.