“Esiste una scarpa – la parola populismo – per la quale da qualche parte esiste un piede […] Questa scarpa va bene per ogni tipo di piede, non bisogna lasciarsi ingannare da quelli che si adattano più o meno bene […] E così il principe azzurro è destinato a vagare alla ricerca del piede giusto, perchè da qualche parte, si può esserne certi, ce n’è uno che aspetta, che si chiama il puro populismo”. È il maggio 1967, e già a quel tempo il filosofo e politologo Isaiah Berlin descrive con estrema accuratezza lo scopo del populismo, attraverso quello che chiamerà “complesso di Cenerentola”. Non solo quello di innalzare il popolo al centro della società, ma come una “entità” dedita a cercare il proprio posto, il proprio spazio all’interno dello Stato, proprio come il principe della favola alla ricerca forsennata del “piede giusto”. E questo piede il populismo lo ha trovato: ha deciso di porre le sue nuove radici nella più grande arma del ventunesimo secolo, Internet. A spasso come due amanti, il populismo ha imposto le sue parole e le sue necessità sui media, sul Web, costringendo tutti all’ascolto.
Prendiamo i sintomi del populismo che da sempre il britannico Berlin ha identificato nel 1968: idea di società coesa, fiducia nella società più che nello Stato (come quell’apparato corrotto e dedito allo sfruttamento delle risorse umane), nostalgia per un passato incontaminato, convinzione di parlare alla maggioranza della popolazione e maggiore presenza nei momenti di squilibri. Cinque sintomi, cinque segnali che si adattano perfettamente ad un tentativo di definizione degli odierni media. Il social network (come nella parola stessa) ha la pretesa di connettere la società, non lo Stato. Ha la necessità di legare a sé sempre più persone, o meglio, di far legare le persone a “tendenze” costruite da loro stesse. Ha il desiderio e la convinzione di parlare a tutti gli utenti, una pretesa del singolo di postare foto o commenti che raggiungano sette miliardi di followers. Così populismo e media si legano perfettamente, come due pezzi di un puzzle precisamente compatibili: avanzano come un esercito verso i loro obiettivi, proprio perchè lontani dallo Stato e dal suo “corrotto” controllo e facendo capitolare senza via di scampo la politica e la democrazia in una spirale di crisi.
Il populismo, però, non è la Destra. Lo spazio politico di destra non è il “fondatore” del populismo. Sono due concetti molto diversi tra loro, con false equivalenze che spesso vengono portate in campo da leader estremisti per giustificare il loro operato sotto un termine – populismo – accettato e condiviso dall’intera comunità. Come, però, queste due entità si sono legate? Prendiamo la Francia. All’inizio degli anni 2010, la sinistra socialista era saldamente al comando nel mondo politico, e vantava la sua forza anche nel mondo di internet. Varie analisi mostravano un “blocco” di sinistra che rappresentava più della metà della “blogosfera” politica francese, ricca delle sue sfumature e autrice di unito fronte contro la Destra di Nicolas Sarkozy. Oggi è completamente l’opposto. Il socialismo francese (rappresentato dallo storico Partito Socialista, PS) è al minimo dei suoi consensi, nemmeno in grado di candidarsi alle elezioni presidenziali. E così anche lo storico supporto mediatico è venuto meno, una dispersione che ha portato ad una inevitabile ondata di trasferimenti dei suoi sostenitori. Perché questo cambiamento? Il populismo non è mai cambiato, non ha mai provato a modellare la sua forma. Non ne aveva la necessità, è un’essenza “fluida”, in grado di modellarsi in base alle urgenze della società. È stata, invece, la Destra a modificarsi, ad “alzare il tiro” e cambiare il suo modus di espressione. Colpo di fortuna? Probabile. Nessun altro mezzo di propaganda come i media si poteva adattare con così tanta velocità e precisione alla nuova richiesta della Destra. Una pretesa incentrata sulla voglia di cambiare, di distruggere, di voler ricostruire. Vuole ritornare al passato, e la storia ai social network piace; piace perché è possibile mostrare solamente gli aspetti positivi di un tempo ormai dimenticato, di un contesto di relazioni sociali non contaminate dalla politica.
Una nuova società che parla coi social network, con Internet, col Web. Il momento dello Stato e del Welfare State è terminato. Siamo in un momento di radicale cambiamento, di completa evoluzione rispetto al passato. E “chi primo arriva meglio alloggia”: di fronte ad un macchinario – quello della Sinistra – considerato indistruttibile e inattaccabile, le attenzioni alle fragilità sono state messe da parte. E tutto il panorama politico è crollato, lasciando un vuoto occupato dall’entità che più si adattava all’incertezza cittadina: il binomio “populismo-media”. Chi insegue i media vince. Chi insegue il populismo vince.