Impedire l’accesso alle reti, manipolare i dati e la disinformazione tramite “fake news” sono tecniche sempre più utilizzate dai regimi africani per facilitare un golpe di stato, reprimere un movimento popolare o influenzare i risultati delle elezioni. In Africa, dove la maggior parte della popolazione non ha ancora una connessione efficace e a banda larga, i governi autoritari manovrano Internet per controllare le informazioni in tempi di crisi; infatti, circa uno su sei tagli della Rete nel mondo è atto di uno Stato africano.
Gabon, Repubblica Democratica del Congo, Zimbabwe, Camerun, Togo sono solo alcuni degli esempi di Stati che applicano spesso censura e interruzione del web, sempre in occasione di tornate elettorali o mobilitazioni in piazza. Come mostrato dalla ricerca dell’organismo indipendente Cipesa (Ict Policy in East and Southern Africa), il 77% dei casi di blocco di Internet registrati nel continente negli ultimi due anni sono stati attuati allo scopo di soffocare il dissenso: “Gli Stati che hanno bloccato con più frequenza il web sono gli stessi che si trovano in fondo alla classifica delle libertà fondamentali garantite ai loro cittadini”, chiariscono i ricercatori, i quali non hanno identificato queste manovre in quei Paesi africani che hanno rafforzato in questi anni la loro democrazia.
Secondo i dati di Netblocks, l’osservatorio che monitora le interruzioni di Internet nel mondo, lunedì 10 gennaio in Burkina Faso la rete è stata messa fuori uso per quindici ore, facendo supporre che il governo di Ouagadougou abbia respinto un tentativo di colpo di stato. Una Nazione che negli ultimi anni ha dovuto affrontare crisi crescenti in termini di sicurezza, portando al malcontento tra i cittadini e nei ranghi della Difesa, seguite da manifestazioni anche violente nelle piazze del Paese. È quindi molto probabile che le recenti interruzioni siano collegate a questi eventi, “shutdown” della Rete come forma di soppressione del dissenso e evitare la diffusione di notizie ambigue del governo politico; di fianco anche ad un “mascherare” attentati terroristici sempre più frequenti in un Paese di transito di molti gruppi radicali islamici e ibridi, collegati con la criminalità del contrabbando di uomini e beni.
Ulteriori occultamenti sono avvenuti in Etiopia, Nazione africana il cui governo ha cominciato, da novembre 2020, una sanguinosa campagna di sterminio verso la regione settentrionale del Tigray, accusata di aver posto al comando un partito d’opposizione tramite una campagna elettorale “truccata”. Tra il 2019 e il 2021, le autorità hanno imposto una dozzina di tagli dei sistemi mediatici, allo scopo di creare “zone grigie” in cui i crimini perpetrati ai danni dei civili rimangono sconosciuti al resto del mondo.
L’hanno chiamata “Operazione Cartagine” l’indagine di un team di giornalisti guidati da Andy Carvin con l’obiettivo di accusare definitivamente la società tunisina “UReputation” per aver veicolato disinformazione e fake news attraverso i social network e blog fantasma, allo scopo di orientare le elezioni in molti Paesi africani.
La società al centro dell’inchiesta avrebbe utilizzato su Facebook tecniche di “coordinated inauthentic behaviour” (uso fuorviante della rete secondo falsi profili) per manipolare i suoi seguaci; l’azienda di Zuckerberg ha successivamente annunciato di aver rilevato oltre 900 asset affiliati alla società tunisina, tra cui 182 account e 96 gruppi dove esponevano dati e informazioni errate.
Questi esempi mostrano come il moltiplicarsi di casi di sospensione della Rete sia un timore da parte dei governi del potere eversivo di Internet, un potente mezzo con cui manipolare facilmente l’ideale pubblico. L’assenza di controlli informatici e di “inesperienza tecnologica” del continente si contrappongono all’esponenziale crescita degli utenti africani: nel 2000 erano solo quattro milioni e mezzo coloro che disponevano di Internet; oggi sono quasi mezzo miliardo, il livello di crescita più rapido del mondo.
I colossi della tecnologia prevedono che gli utenti del continente africano duplicheranno entro il 2030: tutto ciò garantirà sia un maggior accesso all’istruzione e all’educazione civica, ma dall’altro faciliterà sempre più il controllo dei leader politici verso la popolazione e la possibilità di manipolare campagne elettorali o, già come succede oggi, mascherare sempre più gravi violazioni dei diritti umanitari.