Israele: Netanyahu “prigioniero” dei partiti ortodossi

Condividi:

In un articolo del 28 marzo affrontavamo per la prima volta le grandi manifestazioni che, da mesi, continuavano a riempire le principali strade e piazze di Israele, dopo l’abbondante voracità con cui il Parlamento e il Primo ministro Benjamin Netanyahu si avvicinavano a compiere la tanto discussa legge sulla riforma giudiziaria. Lunedì 25 luglio, il parlamento di Israele, la Knesset, ha approvato la prima parte di questa futura riforma, infiammando nuovamente gli animi della popolazione e rivelando una situazione alquanto particolare, una fretta di molti partiti ultra-ortodossi che vogliono – con molta probabilità – trasformare la già imperfetta democrazia di Israele in una sorta di sistema che non merita più questo nome. Ripercorriamo di seguito il disegno di legge approvato settimana scorsa e il pericoloso quadro di cui si sta circondando il territorio di Gerusalemme.

 

La “clausola di ragionevolezza” di Israele

La nuova legislazione approvata lunedì dal Parlamento è un emendamento che rimuove uno (non, per ora, tutti) degli strumenti di cui dispone la Corte Suprema per annullare le decisioni del governo dei ministri. Fino ad ora, per esempio, se il tribunale riteneva “estremamente irragionevole” una decisione dell’esecutivo, aveva tutti i poteri di annullarla. Una volta approvato questo radicale cambiamento, i giudici della Corte Suprema non avranno più alcuna possibilità per agire in tale modo – anche se avranno ancora la possibilità di pronunciarsi contro il governo sulla base di altri motivi legali.

In termini ancora più semplici – e per capire soprattutto come questo tassello eliminato, seppur non agli apici di una rivoluzione non-democratica, possa aprire le porte alla corruzione e ad alimentare il processo di attuazione totale della legge sulla riforma giudiziaria, la “dottrina sulla ragionevolezza” consentiva ai tribunali di ribaltare le politiche quando il governo non poteva (o non voleva) dimostrare che le sue decisioni erano state prese secondo alcuni standard di base di politiche giuste ed eque. Di conseguenza, guardando al quadro generale e osservando la necessità quasi asfissiante della Knesset di raggiungere il suo obiettivo, il pacchetto completo della riforma ha il grande pericolo di andare a indebolire ulteriormente il sistema giudiziario proprio a favore del parlamento e del governo, ovvero una destabilizzazione della già debole democrazia di Israele.

 

Perché tale mossa è così pericolosa?

Fermiamoci ancora sulla pericolosità di tale azione. La “dottrina sulla ragionevolezza” è una pratica comune in molti altri paesi, tra cui per esempio Australia, Canada o Regno Unito. È presente, in maniera assolutamente eccessiva, anche negli Stati Uniti che – al contrario di quello che sta accadendo ad Israele – dispongono della possibilità di traghettare l’intero stato verso una certa posizione politica per un arco di tempo estremamente lungo (dato che la carica di giudice della Corte Suprema negli USA permane fino alla morte). Nella realtà dei fatti di Israele, tuttavia, questa pratica è un buon equilibrio rispetto alla debole legislatura del paese: esso, infatti, manca di una costituzione formale, di una significativa separazione dei poteri esecutivo-legislativo e di un sistema federale solido. I tribunali sono di conseguenza l’unico fondamentale controllo sulle decisioni prese dal governo eletto.

 

La foga dei partiti ultra-ortodossi

Il Primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu non ha certo mai rappresentato a livello internazionale il massimo esponente della democrazia. Tuttavia, se nell’ultimo decennio i partiti ultra-ortodossi, gli Haredi, si sono spostati nella coalizione di destra convinti di aver trovato in Netanyahu il loro partner naturale, attualmente il cieco sostegno che questi davano al primo ministro nelle sue scelte sembra essere venuto meno. O meglio, sembra che il rapporto si sia assolutamente invertito: più che Netanyahu, la fretta di raggiungere la completa attuazione della riforma giudiziaria sembra essere obiettivo principale di questi partiti, che vedono nella demolizione della democrazia l’apice della loro posizione politica in Israele. L’eliminazione della revisione della ragionevolezza delle decisioni del Gabinetto è “solo una parte di un piano molto più ampio per sventare i controlli sul potere esecutivo in Israele”, scrive Natan Sachs (direttore del Center for Middle East Policy della Brookings Institution). Altri componenti e altri fondamentali passaggi sono attualmente in attesa dietro le quinte, probabilmente in corso di verifica e plausibili passi per il governo nei prossimi mesi. Se anche questi venissero approvati, scrive ancora Sachs, il governo di Netanyahu – e ancor più i partiti ultra-ortodossi – avrebbero “la capacità di fare quasi tutto”. E a quel punto il termine “democrazia” non sarebbe più affrancabile ad “Israele”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

Scopri altri articoli