Martedì 10 gennaio 2023, il primo ministro francese Elisabeth Borne ha svelato una (controversa) revisione del sistema pensionistico, durante una conferenza stampa a Parigi. Da questo momento in poi, sembra essere (ri-)cominciata la Révolution.
La controversa riforma delle pensioni
“Lavorare di più consentirà ai futuri pensionati di ottenere pensioni più elevate”. Così il primo ministro francese Borne ha introdotto nel suo discorso di oltre due mesi fa la nuova riforma pensionistica della Francia.
Elemento centrale della controversa riforma è l’aumento dell’età pensionabile, spostata da 62 a 64 anni entro il 2030. Inoltre, il primo ministro ha affermato che l’età minima di pensionamento (per avere quindi una pensione completa) sarà gradualmente aumentata di tre mesi ogni anno, a partire da quest’anno e in linea con l’impegno di lunga data proposto dal presidente Emmanuel Macron.
Proseguendo, la riforma sottolinea che le persone – a partire dal 2027 – dovranno aver lavorato per almeno 43 anni per ottenere una pensione completa: “Entro il 2030, il nostro sistema sarà finanziariamente equilibrato”, ha aggiunto durante l’intervento il primo ministro. Coloro che hanno iniziato a lavorare precedentemente i vent’anni potranno ottenere il pensionamento anticipato, come anche alcune specifiche categorie di lavoratori (in particolare, agenti di polizia e vigili del fuoco). Tuttavia, l’età minima di pensionamento si applica alle persone che hanno lavorato abbastanza anni per qualificarsi; coloro che non soddisfano tali condizioni (per esempio, una donna che interrompe temporaneamente la propria carriera lavorativa per crescere i figli o uno studente che ha terminato gli studi in età “più avanzata”) dovranno lavorare per almeno i 43 anni richiesti. Facendo un breve calcolo, quindi, uno studente universitario – di norma -completa un percorso di studi triennale tra i 22 e i 23 anni: sommando l’età e gli anni richiesti si raggiunge con estrema semplicità i 65 anni per l’età pensionabile – ovviamente se lo studente non decide di proseguire con gli studi.
Infine, un’altra misura chiave su cui il governo conta per “far accettare” dal popolo la riforma è l’aumento della pensione minima per i lavoratori a basso reddito che hanno una carriera completa all’85% del salario minimo netto – cioè quasi 1200 euro. Questa misura andrà ad estendersi anche agli attuali pensionati e, sempre secondo il primo ministro, “quasi due milioni di piccole pensioni saranno aumentate”.
La Francia scende in strada
La popolazione francese vive più a lungo di prima; di conseguenza, ci sarà bisogno di lavorare più a lungo per rendere il sistema pensionistico finanziariamente sostenibile. Questa è la linea che continua ad essere perseguita dal governo ma che ha scatenato l’ira dell’opposizione politica di sinistra e, successivamente, di milioni di cittadini francesi.
Inizialmente, la presentazione della riforma ha suscitato vigorose critiche soprattutto all’interno del mondo politico e parlamentare dello stato parigino: “Rinvio dell’età pensionabile. Aumento degli anni di servizio. Soppressione delle speciali misure vantaggiose. La riforma […] è una grave regressione sociale”, ha scritto su Twitter il leader del partito di sinistra “La France Insoumise”, Jean-Luc Mélenchon, il quale nelle elezioni presidenziali dell’anno scorso (10 e 24 aprile 2022) ottenne il terzo gradino del podio preceduto solamente da Marine Le Pen (la quale si è anch’essa opposta alla nuova riforma) e, ovviamente, Emmanuel Macron. Il 19 gennaio, però, gli otto principali sindacati francesi – supportati dall’intera sinistra francese, LFI e i Verdi – hanno indetto una giornata di scioperi per l’intero stato: gli scioperi, in particolare, mirano a “dare il via ad un potente movimento per le pensioni a lungo termine”, ha annunciato un comunicato congiunto dei sindacati.
Dal 19 gennaio, la Francia non si è più fermata. E soprattutto non ha smesso di protestare per le strade del paese. Una vera e propria manifestazione di massa, la sesta dal 19 gennaio – sfortunatamente sempre più violenta da ambedue le parti, protestanti e forze dell’ordine – che (per ora) ha avuto il suo culmine martedì 7 marzo, quando 1,28 milioni di persone sono scese nelle piazze principali di tutto lo stato, secondo i dati del Ministero dell’Interno.
Dal 7 marzo, però, l’opposizione alla riforma francese è entrata definitivamente in una nuova fase. Gli stessi sindacati hanno esplicitamente chiesto alla popolazione uno sciopero “massiccio”, “senza precedenti” e che avrebbe “fermato la Francia”. E così è stato; o meglio, così sta succedendo in questi ultimi giorni. Non solo cortei e manifestazioni. I camionisti hanno istituito blocchi stradali, mandando in tilt il sistema di trasporti. Il traffico ferroviario è continuamente fuori servizio e il leader sindacale Emmanuel Lépine – evidenziando l’alcun segno di arretramento del governo – ha dichiarato l’obiettivo del blocco delle consegne di carburante, allo scopo di “mettere in ginocchio l’economia francese”. Le otto raffinerie sparse nella Francia continentale sono state, infatti, completamente bloccate, comprese quelle gestite dai colossi economici TotalEnergies e Esso-ExxonMobil.
Scontri con la polizia non sono tardati ad arrivare, soprattutto ai margini delle manifestazioni a Nantes e a Rennes. Almeno 22 persone sono state arrestate a Parigi e le forze dell’ordine si sono viste costrette ad utilizzare cannoni ad acqua contro la folla. Nonostante ciò, la Francia non vuole nessuna tregua e il sindacato CGT ha affermato che l’intenzione è quella di “continuare e amplificare il movimento”.
Un’amara, parziale, conclusione
Venerdì 10 marzo, il presidente Emmanuel Macron ha dovuto rompere il silenzio. Ma la posizione sua e del governo non si è mossa di un millimetro sulla questione vera e propria. “Non sottovaluto il malcontento di cui vi fate portavoce (riferendosi ai sindacati) o le preoccupazioni espresse da molti francesi preoccupati di non avere mai una pensione”, ha annunciato il presidente, rifiutando però di incontrare i sindacati e rimandandoli ai suoi ministri: “Come sempre, il governo ti ascolta per andare avanti con i negoziati”. Ma, anche qui, secondo la squadra del primo ministro Elisabeth Borne, al momento non sembra essere previsto alcun incontro tra le due parti, governo e sindacati – nonostante la porta dovrebbe essere sempre “aperta”.
Questo infelice quadro di tensione e protesta è traghettato fino al 12 marzo. Sabato sera il Senato francese ha incredibilmente adottato l’impopolare piano di riforma delle pensioni, sulla scia di quasi due mesi di proteste. 195 membri della camera alta del Parlamento francese hanno votato a favore del testo, contro i 112 in opposizione: “Dopo centinaia di ore di discussioni, il Senato ha adottato il piano di riforma delle pensioni. È un passo fondamentale per realizzare una riforma che garantisca il futuro del nostro sistema pensionistico”, ha scritto immediatamente al termine dell’adozione su Twitter il primo ministro Borne, la quale ha aggiunto che sarà “totalmente impegnata a garantire che il testo venga definitivamente adottato nei prossimi giorni”.
La felicità del governo dovrà, adesso, scontrarsi con la ferocia del popolo francese.