17 marzo 2023, oltre un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la Camera preliminare II della Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto per due figure politiche del Cremlino non di poco conto: il presidente Vladimir Vladimirovich Putin e il Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa, Maria Alekseyevna Lvova-Belova.
Nel bel mezzo della guerra in Ucraina, il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha voluto colpire forte e chiaro il nemico in guerra: “Questo tipo di crimine non ha bisogno che uno sia un avvocato, bisogna essere umani per sapere quanto sia eclatante”, ha affermato il procuratore alla BBC.
Le condanne della Corte penale internazionale
Il presidente della Federazione Russa Putin e il commissario Maria Alekseyevna Lvova-Belova sarebbero ugualmente responsabili del crimine di guerra di deportazione illegale di bambini e di trasferimento illegale dalle zone occupate in Ucraina. Crimini ovviamente commessi nel territorio occupato almeno a partire dal 24 febbraio 2022, giorno di inizio dell’invasione. Secondo lo Statuto di Roma (1998), vi sono più che fondati motivi per ritenere che Putin e il Commissario abbiano la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini; in particolare: I) per aver commesso gli atti direttamente, insieme ad altri e/o per interposta persona (articolo 25 dello Statuto) e II) per il suo mancato controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso tali reati.
La Camera ha perciò ritenuto – fino a questo momento – che i mandati rimanessero segreti al fine di proteggere vittime e testimoni e, in particolare, per salvaguardare le indagini. Tuttavia, consapevole del fatto che le condotte individuate sarebbero continuamente in atto tutt’ora e che la conoscenza pubblica dei mandati potrebbe contribuire a prevenire l’ulteriore commissione di reati, la Camera ha ritenuto che sia nell’interesse della giustizia autorizzare la Cancelleria alla pubblicazione dei mandati.
Ovviamente la condanna è stata accolta con estremo entusiasmo dai sostenitori dell’Ucraina e, ovviamente, da Kiev stessa: “Una decisione storica che porterà ad uno storico riconoscimento delle responsabilità”, ha così annunciato Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, a fronte del mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte. “Sarebbe stato impossibile mettere in atto un’operazione così criminale senza l’approvazione dell’uomo che è a capo dello stato terrorista”, ha aggiunto il presidente, affermando come secondo lui oltre 16.000 bambini sono soggetti di questi trasferimenti forzati.
Qual è il peso di queste condanne?
Lo scopo e il valore di questi mandati è quello di limitare i viaggi di Putin fuori dal territorio russo, dal momento che potrebbe essere arrestato in uno qualsiasi dei 123 paesi che hanno firmato lo Statuto di Roma – e che hanno aderito quindi alla Corte penale internazionale. Per il presidente russo, quindi, che già opera con una ristretta cerchia di fidati consiglieri al Cremlino, il “mondo” è divenuto ancora più piccolo e pericoloso. La mossa della corte, perciò, ha avuto un peso morale assolutamente indiscutibile, mettendo Putin nella stessa schiera di Omar Hassan al-Bashir, il presidente deposto del Sudan accusato di atrocità nel Darfur, e Slobodan Milosevic, leader serbo imprigionato per abusi durante la guerra nei Balcani.
Al contempo, però, ci sono poche prospettive che il presidente Putin venga processato in un’aula di tribunale nel breve periodo. La Corte penale internazionale non può, ovviamente, processare gli imputati in contumacia (ovvero, nel processo civile, la situazione della parte chiamata in causa che non si costituisca in giudizio) e la Russia – che non fa parte dei paesi aderenti alla Corte – ha respinto i mandati come “privi di significato”. Al momento dell’arresto (nel caso in cui il presidente dovesse mettere piede in uno stato aderente allo Statuto di Roma), la persona deve essere posta dinanzi all’autorità giudiziaria competente dello stato in custodia; successivamente, una volta consegnato alla Corte penale internazionale, verrà fissata un’udienza di comparazione dinanzi la Corte preliminare ed è necessaria la convalida delle accuse prima del processo. Senza l’arresto e la consegna il processo non si può svolgere. Un meccanismo, come appena descritto, lungo e macchinoso, e che allontana la possibilità di vedere Vladimir Putin seduto di fronte ai giudici della Corte.
Secondo Paola Gaeta, ordinario di diritto internazionale penale – al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra – e intervistata dal Sole24Ore, il mandato d’arresto della Corte ha soprattutto un significato politico. E noi non potremmo essere più d’accordo. Di conseguenza, però, non possiamo rimanere estremamente “tranquilli” a fronte di questa decisione; soprattutto per due ragioni. La prima di queste è che la resa pubblica del mandato – e di conseguenza un mancato “effetto sorpresa” – rende meno facile un eventuale arresto, diminuendo ancora di più le già basse possibilità di un’uscita di Putin dalla Russia. Secondariamente, questi due mandati allontanano sicuramente le possibilità di un negoziato di pace: sarà sicuramente molto più complicato far sedere Putin ad un tavolo delle trattative, soprattutto al di fuori della sua “safe zone”; e, considerando il fatto che anche la Cina non fa parte della Corte penale internazionale, aumentano le possibilità di un avvicinamento di Mosca a Pechino (incrementando il valore geopolitico dello stato di Xi Jinping).