24 febbraio 2023. Un anno dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. 365 giorno dopo quello che possiamo identificare come un altro, nuovo, tassello a dimostrazione della fine della pace. Ma cosa intendiamo per “fine della pace”? Prendiamo come supporto il recente libro di Lucio Caracciolo, “La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa” (2023), cercando di analizzare cosa è rimasto e cosa è nato con l’inizio della guerra nel Vecchio Continente.
La fine della fine della storia in Europa
No, il sottotitolo qui sopra non è scritto sbagliato. La guerra in Ucraina è un altro evento a dimostrazione della “fine della fine” della storia europea. È il 1992 e il politologo statunitense Francis Fukuyama pubblica in occidente il suo più importante saggio: “La fine della storia e l’ultimo uomo”. Il pensiero alla base dell’opera è relativamente molto semplice: la Guerra Fredda è terminata con la vittoria americana, della democrazia e dell’economia libera di mercato; la guerra è finita, la storia si conclude, comincia la pace. “Act est fabula, plaudite!”, annunciava Augusto per prendere congedo dalla vita e terminare la sua storia; e George H.Bush preconizzava un Nuovo Ordine Mondiale fondato sull’unita, pacifica, benevolente egemonia a stelle e strisce e Pax Americana.
Fu dunque così? Non proprio. Il lungo decennio della Guerra del Golfo e dei conflitti jugoslavi, il ventennio della “guerra al terrorismo” con le fallimentari invasioni in Afghanistan e Iraq e, infine, l’invasione russa in Ucraina che “impone sigillo all’illusione di emanciparci dalla prigionia del tempo, stigma d’ogni progressismo occidentale”. Quella che abbiamo chiamato “Fine della storia” e, di conseguenza, “Inizio della Pace”, non si dimostrò altro che il contrario.
“The End of History” di Fukuyama è America in potenza e in atto, il trionfo totale dell’impero americano. Senza la vittoria statunitense, però, che cosa rimane di questa fine della storia? Americani e, più di chiunque altro, noi europei abbiamo creduto ciecamente a questa fine della guerra, vivaci di poter finalmente entrare in un’epoca di pace e stabilità. Fu completamente l’opposto.
Finita era la pace, non la storia. Seguendo il pensiero di Caracciolo, il periodo di Guerra Fredda non rappresentò altro che l’unico periodo di (più o meno) pace e stabilità nell’occidente, un periodo di gestione americana delle frontiere sovietiche e asiatiche. L’unico momento in cui l’Europa poteva sentirsi libera e salda nelle fondamenta americane. Finita la pace, è cominciata la guerra: una guerra nuova, a nemici di grandezza minore ma dalla maggiore intensità; crisi extra-occidentali che neppure la più grande potenza della storia è riuscita a gestire. “Dal superamento della storia al sovrappiù di storie. Inclinazione che invita al moltiplicarsi di conflitti, incompatibili quanto le opposte narrazioni che li alimentano”.
Come abbiamo potuto credere alla fine della storia? “Oggi il principio europeistico di irrealtà stenta a mascherare la tragica condizione geopolitica in cui noi europei ci troviamo”. L’Europa è fuori gioco, oggetto di giochi altrui e, molto probabilmente, ancora per poco nelle grinfie statunitensi. Nella superiore disputa Cina-USA noi europei non abbiamo voce, ancorati ancora alla volontà di poter costruire un utopico impero universale del diritto e della pace. Ogni storia comincia dalla fine. “Fine e inizio corrispondono alla storica fase in cui siamo immersi, simboleggiata dal 24 febbraio. Inteso come esaurimento dell’illusione che illuminava il dopo-Guerra fredda: la progressiva e magnifica occidentalizzazione del pianeta”.
Cosa abbiamo scoperto?
La guerra in Ucraina e, in particolare, il ritorno della paura nell’Occidente ci ha, anzitutto, fatto riscoprire vulnerabili. La vulnerabilità è una sensazione che avevamo dimenticato o che non volevamo più ricordare, forti dietro le nostre maschere democratiche. Dalla crisi economica alla crisi energetica, dall’aumento del debito alla paura del nucleare. Non solo l’Ucraina, anche l’Europa uscirà dal dopoguerra completamente annientata; economicamente e psicologicamente. Non siamo al fronte, ma la guerra ci fa paura allo stesso modo.
Nonostante ciò, però, nella grande sofferenza umana portata dalla guerra ci siamo riscoperti anche “potenti”. Una potenza, però, non dettata dalla forza del singolo (presi distintamente siamo sempre più deboli), ma dalla forza della cooperazione. Se, riprendendo Caracciolo, l’invasione russa rappresenta l’inizio di una nuova storia, potrebbe essere che questa rivoluzione nel Vecchio Continente apra definitivamente gli occhi a noi occidentali. Una valutazione del World Trade Organization dimostra proprio tale processo, valutando l’impatto della guerra sul commercio globale e sullo sviluppo. La pubblicazione, infatti, mostra che il sistema commerciale multilaterale è rimasto resiliente, con una crescita del commercio sostanzialmente superiore alle previsioni più pessimistiche per il 2022. I prezzi sono sì aumentati, ma meno di quanto previsto all’inizio del conflitto. In particolare – ed è qui che troviamo la forza della cooperazione -, la performance commerciale positiva dei paesi dipendenti dalle importazioni ucraine e russe è stata facilitata dalla loro capacità di spostare la loro offerta di importazioni verso le economie non interessate.
E proprio grazie a questa cooperazione abbiamo scoperto (soprattutto) la fragilità della Russia. Una delle più importanti potenze militari del mondo e, durante la Guerra Fredda (quel periodo che tanto ci spaventava), la seconda autorità più grande del pianeta, non solo non è riuscita nel piano di conquista di Kiev, ma rischia sempre più il collasso economico, provocato dai vari blocchi commerciali imposti dall’occidente. Ciò che, però, è prevalso da questo scontro è la grande debolezza geopolitica dei due attori internazionali appena citati: Russia ed Europa. La fine e inizio della nuova storia, la guerra in Ucraina, ha polarizzato ancor di più lo scontro USA-Cina; o, ancora meglio: la sempre più vulnerabilità americana rispetto alla nuova grande potenza asiatica.
La prima guerra mediatica
Ad un anno dall’inizio dell’invasione, se avevamo ancora qualche briciolo di dubbio riguardo l’irrompere di Internet in qualsiasi ambito e accadimento della vita umana, oggi non dovremmo più aver più incertezze. I giornalisti hanno, appunto, descritto l’aggressione a Kiev come la “prima guerra TikTok” del mondo, la guerra mediatica “più virale della storia” e la “guerra più accessibile a Internet della storia”.
In particolare, possiamo individuare tre tendenze digitali significative comparse con la guerra. In primo luogo, l’innovazione tecnologica ha aiutato l’Ucraina a controbilanciare il vantaggio militare convenzionale della Russia, nel dettaglio aumentando la partecipazione del comune cittadino. Secondo, poiché questi cittadini sono stati coinvolti in modo univoco nella neo guerra digitale, i confini tra attori civili e militari si sono offuscati (in questo caso, sfortunatamente, il diritto internazionale presenta ancora grandi “buchi neri” rispetto a come applicare le regole di guerra in un conflitto digitale). Infine, il conflitto ha generato un’enorme quantità di dati potenzialmente utili per tenere il conto dei criminali di guerra, gli spostamenti bancari e i migliaia di dati (senza però sottovalutare la possibilità di pregiudizi analitici o incoerenze procedurali).
Non solo, quindi, nuovi droni turchi Bayraktar TB2 o nuove apparecchiature di comunicazione come i satelliti Starlink (di Elon Musk, CEO di Tesla). La presenza di un Internet accessibile sul fronte di guerra ha consegnato la possibilità ai cittadini ucraini di essere mediaticamente attivi durante la battaglia, condividere le immagini e i video della drammaticità umana a tutto il mondo. Lo stesso presidente, Volodymyr Zelens’kyj, come ben sappiamo, continua a “sfruttare” l’arma mediatica per conquistare parlamenti extra-ucraini, compreso quello italiano.
Oramai non possiamo più tornare indietro. I social network e, più in generale, Internet sono ufficialmente entrati nel mondo bellico, sia da un punto di vista militare che da un punto di vista propagandistico. L’arte della guerra e della propaganda bellica sono divenute (anche e, probabilmente in futuro, soprattutto) l’arte di usare Internet, con tutti i pro e contro ad esso legati.