Mercoledì 19 luglio, la cronaca internazionale si è alquanto irrigidita dopo che Mosca ha annunciato la sua uscita dall’accordo sul grano e, soprattutto, il blocco militare nel Mar Nero. La Russia è solita agire in questa maniera e, infatti, non è la prima volta che questa situazione accade. Tuttavia, è una condizione che sottolinea la necessità occidentale di individuare una soluzione particolarmente immediata per un bene primario come il grano. E, in particolare, la scelta è tra due opzioni: salvare o no l’Ucraina da questo blocco.
La Russia ci prova ancora
Il 29 ottobre 2022, la Russia annunciò di aver abbandonato il cosiddetto “accordo sul grano” mediato dalle Nazioni Unite e, la solita, Turchia, sviluppato a luglio dello stesso anno per consentire all’Ucraina di esportare il grano attraverso il Mar Nero. Un presunto attacco di Kiev alla flotta russa nei dintorni della città di Sebastopoli riaccese però gli animi e portò Mosca a tale decisione. Tuttavia, nonostante gli avvertimenti del Cremlino, un gruppo di navi cariche di grano riuscì comunque ad uscire dal corridoio sicuro, esportando il grano che era stato caricato nei porti ucraini. La Russia, poco dopo, fece un’inversione di marcia e annunciò nuovamente il rientro negli accordi dopo svariati negoziati con Ankara.
Nove mesi dopo la medesima situazione: Mosca si è nuovamente ritirata dall’accordo bellico che consentiva l’esportazione ucraina attraverso il Mar Nero e ha riacceso i timori sulla sicurezza alimentare globale. “Oggi è l’ultimo giorno dell’accordo sul grano”, ha affermato lunedì 17 luglio il Cremlino. “Quando le rispettive parti a vantaggio della Russia saranno soddisfatte, torneremo all’accordo”.
Le conseguenze internazionali
La Russia ha fatto la sua mossa. E le conseguenze a livello internazionale si fanno già sentire. Al di là del crollo dei mercati, quindi, “la fine dell’accordo sul Mar Nero è un duro colpo per le nazioni che si riforniscono di grano ucraino più economico”, scrive Simon J.Evenett, specialista in commercio globale e professore di economia all’Università di San Gallo.
Inoltre, l’obiettivo generale dell’accordo era scongiurare una possibile carestia internazionale iniettando nei mercati più grano, soprattutto per il fatto che Kiev e Mosca sono tra i maggiori esportatori del bene primario in tutto il globo. Con l’inizio del conflitto il prezzo del grano esplose e adesso, con l’abbandono di Mosca, la medesima situazione potrebbe riproporsi.
E ora?
C’è una cosa, tuttavia, da affermare: prima ancora dell’abbandono russo, la Black Sea Grain Initiative si era già più o meno bloccata. Infatti, il numero di spedizioni di grano era drasticamente diminuito, con solamente 1,3 milioni di tonnellate esportate nel mese di maggio e con nessuna nuova nave registrata nell’ambito dell’iniziativa dalla fine di giugno. Il ritiro della Russia, perciò, non avrà lo stesso impatto dell’invasione del febbraio 2022, ma le conseguenze si faranno comunque sentire in Ucraina. Seppur il presidente Zelensky abbia dichiarato che “anche senza la Federazione Russa, bisogna fare di tutto per poter utilizzare questo corridoio del Mar Nero”, gli agricoltori del territorio di Kiev dovranno subire un duro colpo e l’aumento dei costi logistici per continuare ad operare nel Mar Nero costringeranno alla vendita del grano ad un prezzo scontato.
La Russia si sta aggrappando a tutto pur di limitare le azioni dell’Ucraina. Il resto del mondo, di conseguenza, è di fronte ad un bivio: aiutare Kiev a mantenere intatto il corridoio del Mar Nero (con il rischio costante di alimentare le tensioni con Mosca) o cercare il grano altrove, lasciando l’Ucraina in una situazione sicuramente svantaggiata. Aiutare Zelensky e il suo popolo significa combattere e, forse, sconfiggere la Russia, con conseguenze però incerte e risultati non per forza immediati; cercare aiuto altrove, invece, impone l’obbligo morale di “abbandonare” economicamente Kiev a fronte, probabilmente, di risultati più rapidi.