“L’America è tornata”: un semplice slogan, ottimista e caricaturale, ha accompagnato l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca alla fine di gennaio 2021. Dodici mesi fa il mondo assisteva alla cerimonia per il suo insediamento, in una Capitol Hill ancora sotto shock dopo l’assalto del sei gennaio.
“È stato un anno denso di difficoltà ma anche di enormi progressi”: il tentativo di Biden in conferenza stampa di rilanciare la sua presidenza si scontra fortemente con le stime dei sondaggi; solo il 41% degli americani sostiene il suo operato, il peggiore solo davanti al suo predecessore Trump, il quale era sceso al 40% al suo primo giro di boa.
Il neo presidente ha voluto ristabilire la tradizionale voce degli Stati Uniti, riprendendo il linguaggio dei valori e trovare la strada delle alleanze, tanto minate dal predecessore. Le sfide, però, non sono mancate e anche l’amministrazione Biden ha dovuto affacciarsi a molteplici prove in diversi campi, sia in ambito nazionale che internazionale.
Le statistiche rilasciate a inizio gennaio 2022 dal Dipartimento del Lavoro statunitense segnavano un tasso di disoccupazione tra i cittadini al 3,9%; all’insediamento di Biden era al 6,3%. Potrebbe essere il segno di una ritrovata fiducia nel mercato del lavoro, nonostante la bassa percentuale di gradimento sulle politiche del neo presidente.
Non tutti i segnali dell’economia americana sono positivi. A dicembre 2021, il tasso di inflazione toccava il 7%, il livello registrato più alto dopo il 1982; di fianco, al netto di un’Europa che procede spedita verso l’introduzione della tassa minima globale al 15% sul fatturato delle multinazionali, negli USA la riforma rimane ancora bloccata.
Negli ultimi anni non sono mancati duri movimenti di protesta delle minoranze sul territorio, prime su tutte quelle afroamericane in seguito all’uccisione di George Floyd da parte degli agenti di polizia. Sono eventi che mostrano un’America ancora arretrata di fronte alla protezione dei gruppi minoritari, caratterizzata ed esposta a violenze arbitrarie sia da parte della popolazione bianca che dalle forze dell’ordine stesse.
A sottolineare questo presunto sottosviluppo è il blocco del “George Floyd Justice in Policing Act”, quella riforma che avrebbe lo scopo di limitare l’uso della forza da parte dei poliziotti, vietando pratiche fisiche tra cui la presa al collo, causa della morte di George Floyd. Inoltre, ferme sono anche le norme per la tutela del diritto di voto della popolazione afroamericana, ostacolate dall’opposizione repubblicana.
Una terza sfida, tragicamente terminata, è l’abbandono americano dall’Afghanistan. La più grande evacuazione aerea nella storia statunitense ha sancito la fine di Kabul, portando a quella che viene definita la peggior crisi umanitaria mai vista. La decennale dipendenza afghana dai finanziamenti esteri si è conclusa nel giro di pochi giorni, isolando lo Stato dal resto del mondo e costringendolo all’aumento della produzione di oppio ed eroina, con solo il 2% della popolazione aventi le sufficienti risorse alimentari di nutrimento.
La politica di tensione con la Cina o l’“inserimento” nell’attuale scontro russo-ucraino sono altre sfide che Joe Biden sta affrontando durante il suo primo anno. Situazioni che mostrano le difficoltà della nuova amministrazione a risolvere e presentarsi come “opposta” rispetto a quella precedente di Trump, saccheggiatore dell’eredità di Obama e determinato a calpestare un sistema multilaterale ritenuto antiquato.
L’America non è tornata; non se ne è mai andata. Con Biden sta semplicemente tentando di riposizionarsi sul normale corso di percorrenza, di “tornare sulla retta via” dopo quattro anni di eccezionalità e instabilità. Un ritorno che non appare così semplice: la sempre meno egemonia americana nel globo e l’influenza dell’ex presidente spingono ad un’incertezza popolare tra i cittadini statunitensi, uno smarrimento che rischia di “incollare” gli Stati Uniti ad un sogno di leadership che faticosamente tornerà ad essere realtà.