Due anni fa, alla COP26 di Glasgow del 2021, il Regno Unito si vantò che 450 organizzazioni in 45 differenti paesi con un patrimonio di oltre 130 trilioni di dollari si erano iscritte al cosiddetto GFANZ, l’iniziativa Glasgow Financial Alliance for Net Zero lanciata dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney. L’obiettivo, al tempo, era quello di allineare tutti gli asset delle istituzioni coinvolte per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C e raggiungere “emissione zero” entro il 2050. Sono passati solo due anni ma, nonostante il grande vanto e il grande impegno preso dall’intero Vecchio Continente, le principali banche europee e di tutto il mondo continuano ad investire miliardi di dollari per finanziare quelle aziende dei settori di petrolio, gas e carbone.
Le banche europee e di tutto il mondo sono cieche verso l’ambiente
“I membri della GFANZ agiscono come incendiari del clima. Si sono impegnati a raggiungere lo zero netto, ma continuano a versare centinaia di miliardi di dollari negli sviluppatori di combustibili fossili”, ha affermato Paddy McCully, analista senior di Reclaim Finance. Dal COP26, infatti, i membri dell’organizzazione GFANZ hanno continuato a investire centinaia di miliardi di dollari nei combustibili fossili, nonostante il grande impegno internazionale e come dimostrato dai dati raccolti dallo stesso gruppo Reclaim Finance.
Inoltre, uscendo dai soli membri del gruppo, almeno 56 delle più grandi banche del Net-Zero Banking Alliance Grouping (NZBA) hanno fornito 270 miliardi di dollari a 102 società di combustibili fossili per la loro espansione, 134 prestiti e 215 accordi di sottoscrizione. Oppure, secondo la ONG britannica ShareAction, “venticinque banche europee, tutte con obiettivi carbon neutral, l’anno scorso hanno fornito finanziamenti per 55 miliardi di dollari alle società che sviluppano la produzione di petrolio e gas”.
Secondo i nuovi rapporti, quindi, solo il 7% dei finanziamenti bancari è destinato alle energie rinnovabili tra il 2016 e il 2022, mentre le banche mondiali hanno continuato a preferire investimenti di trilioni di dollari nell’espansione dei combustibili fossili. “Gli importi totali dei finanziamenti per l’energia pulita in questi anni sono rimasti incredibilmente bassi: 23,3 miliardi di dollari nel 2016 e 34,5 miliardi di dollari nel 2021”, osserva un recente rapporto di Fair Finance International, Sierra Club, BankTrack e Rainforest Action Network, che esamina le attività presso sessanta banche. Durante questo lasso di tempo, d’altro canto, le banche hanno continuato a versare 2,3 trilioni di dollari in progetti sui combustibili fossili.
In risposta, investitori attivisti e gruppi di azione per il clima stanno pianificando campagne per fare pressione su alcune delle più grandi banche del mondo affinché interrompano il loro massiccio e continuo finanziamento. Nonostante in passato tali risoluzioni hanno avuto poco successo, recentemente – e con drammi climatici sempre più imponenti – sembra che la marea stia cambiando. Infatti, le risoluzioni degli azionisti membri dell’ICCR (gruppo storico di “investitori etici”) hanno ricevuto lo scorso anno tra l’8% e il 13% dei voti degli investitori: i membri del gruppo sperano che la strategia di richiedere date specifiche per l’eliminazione graduale dei finanziamenti contro l’ambiente attirerà un maggior numero di voti degli inventori.
Il caso BNP Paribas
Giovedì 23 febbraio, nel bel mezzo delle proteste per la riforma pensionistica, attivisti per il clima francesi (in particolare, Oxfam, Friends of the Earth e Notre Affaire à Tous) sostengono che i prestiti della banca europea BNP Paribas alle compagnie petrolifere e del gas violano obblighi legalmente vincolanti in Francia e chiedono una garanzia di protezione dell’ambiente per il futuro. Oltre ad essere, tra le banche europee, il più grande finanziatore dell’UE per l’espansione dei combustibili fossili, è anche divenuta la prima ad essere posta in causa in un tribunale parigino ai sensi della legge francese sull’obbligo di vigilanza aziendale (che richiede a tutte le grandi imprese e alle società internazionali con sede in Francia di definire misure chiare per prevenire danni ambientali).
BNP Paribas, in particolare, ha iniziato a pianificare un’uscita dal carbone nel 2019 e, recentemente, ha addirittura affermato che la sua esposizione residua al carbone termico è “solo residua”, entrando nel 2021 a far parte della NZBA delle Nazioni Unite. Questa velocità di annuncio alla transizione non è stata, però, seguita sul concreto: la banca, infatti, è stata in questi ultimi mesi sotto i riflettori come una delle numerose banche che hanno prestato denaro a TotalEnergies per l’oleodotto dell’Africa orientale (EACOP), il quale emetterebbe enormi quantità di carbonio e avrebbe un enorme impatto negativo sulle persone che vivono lungo il suo percorso.