Designare un altro candidato repubblicano per le future elezioni presidenziali americane sostitutivo a Donald Trump significa essere responsabile della salute pubblica del paese. L’anno prossimo Joe Biden – a patto di una (difficile) rielezione – dovrà abbandonare il trono e, ovviamente, la destra repubblicana spinge per una “reconquista presidenziale”. Le primarie repubblicane, tuttavia, sembrano dimostrare il contrario: con Trump in viaggio per i vari stati federali, il principale concorrente Ron DeSantis naviga tra recenti errori e condanne alla sinistra al comando, allontanandosi così sempre più dalla possibilità di sconfiggere l’ex presidente concorrente.
Le primarie repubblicane di Ron DeSantis
Donald Trump è sinonimo di ripetute sconfitte per il Partito Repubblicano. Due volte incriminato dalla Camera dei rappresentanti, pesato di procedimenti giudiziari come nessun altro politico statunitense prima di lui e, alla vigilia delle presidenziali dell’anno prossimo, compirà 78 anni. La ricerca di un candidato differente è quindi d’obbligo e, fino a poco tempo fa, le primarie repubblicane avevano designato un nome e un cognome ben preciso: Ron DeSantis. 44enne proveniente dal “Grand Old Party” (GOP), sei mesi fa è stato rieletto trionfalmente come governatore della Florida e le strade sembravano ben aprirsi alla possibilità di un obiettivo presidenziale.
Tuttavia, soprattutto dal suo secondo mandato (rieletto nel novembre 2022 con il 59,5% dei voti), l’ex veterano dell’Iraq ha conquistato le prime pagine dei giornali nazionali con i suoi implacabili attacchi alla sinistra e, soprattutto, al cosiddetto “wokismo”. Secondo il Collins English Dictionary, in particolare, per “wokeism” si intende il comportamento e gli atteggiamenti di quelle persone sensibili all’ingiustizia sociale e politica. Oltre alla sua legge “Stop-Woke” (Wrongs to Our Kids and Employees) – che impedisce alle istituzioni educative e alle imprese di insegnare qualsiasi cosa che possa indurre chiunque a “sentirsi in colpa, angoscia o qualsiasi forma di disagio psicologico” a causa della loro razza, colore, sesso o origine nazionale” -, Ron DeSantis ha impedito ai professori dell’Università della Florida di testimoniare contro la legge statale sul voto, ha affermato che i professori delle università pubbliche non hanno diritto esclusivo alla libertà di parola, ha vietato l’insegnamento di un corso avanzato di “Studi Africani” in tutte le scuole superiori pubbliche della Florida (perché, a detta sua, equivaleva ad “indottrinamento”) e, infine, ha promulgato addirittura un disegno di legge dall’ambiguo nome “Don’t Say Gay”, che vieta l’insegnamento di lezioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere agli studenti delle scuole pubbliche della terza elementare o più giovani.
Un tipo, direi, assolutamente particolare. Un identikit ben preciso e, sicuramente, ben lontano dal suo concorrente ed ex presidente Trump (non che quest’ultimo sia un santo!). Se volessimo paragonare la figura di Ron DeSantis a qualcuno, il più vicino sarebbe certamente l’attuale presidente Joe Biden. O meglio, il governatore della Florida è la “copia opposta” dell’attuale presidente degli US: assurdamente incentrato sulle dinamiche sociali del paese, ma – inversamente – con uno sguardo di chiusura totale a qualsiasi riforma.
Gli errori di Ron DeSantis
Su questa scia guidata dall’anti-wokismo, sono stati molti gli errori già compiuti dal candidato e il futuro delle primarie repubblicane spaventa i cittadini oppositori di Trump. In primis, come già descritto in precedenza, questa assurda guerra culturale sembra avergli fatto più male che bene. Il 24 maggio, Ron DeSantis ha deciso di compiere il grande passo: tramite un annuncio dal vivo, senza immagini e nello spazio virtuale di Twitter, il governatore del territorio di Austin ha deciso di annunciare la sua candidatura alle presidenziali del 2024. Un primo errore di assenza di collegamento radio e, secondariamente, la fredda lettura di un documento privo di emozioni hanno aperto la strada ad una valanga di sarcasmo mediatico. Criticando una “cultura della sconfitta” della destra repubblicana, ha provato ad attaccare il concorrente Trump, senza però mai citarlo direttamente. Niente, inoltre, è stato detto sull’inflazione, sul rischio di default, sull’attuale presidente o sulle guerre in Ucraina o Taiwan. Un ingresso in scena alquanto deludente, reso caotico dai numerosi problemi tecnici e contornato da ospiti particolarmente controversi (come, per esempio, Elon Musk). Faticosi inizi che, certamente, hanno riacceso i dubbi sulla capacità di DeSantis di imporsi sia nelle primarie repubblicane che, in un futuro sempre più improbabile, alla presidenza degli USA.
Un secondo, banale e ultimo, errore è stato nei confronti di Donald Trump. DeSantis, infatti, durante queste primarie repubblicane, ha preferito attendere invano che l’aura dell’ex presidente si estinguesse da sola sotto il peso delle procedure giudiziari. Mentre, indovinate un po’, l’hanno quasi rafforzata. Il governatore della Florida ha preferito sottovalutare l’ancoraggio di Trump all’interno della base repubblicana e rinchiudersi dentro la sua guerra culturale contro il wokismo, non sfruttando così l’occasione quasi “unica” di poter attaccare politicamente un nemico tanto ricco di controversie.