Questi otto mesi del 2023 hanno visto come grande protagonista, almeno in Europa, la Francia e, soprattutto, del suo presidente Emmanuel Macron. Leader oramai fulcro dei rapporti europei con il “mondo esterno” (per esempio nei primi mesi di guerra in Ucraina) e grande voce all’interno di tutta l’Unione, ad oggi è in una situazione di terribile crisi di status. Crisi delle pensioni, tensioni con le banlieue e diffidenza popolare: se il progetto con cui salì al potere nel 2017 fu una promessa di crescita, emancipazione e progresso, sei anni dopo Macron si deve scontrare con una realtà meno rosea e con prospettive sicuramente più angosciose.
La fine di Macron?
È sempre più definito e chiaro a tutta la Francia (e non solo) che, in un futuro assolutamente prossimo, il territorio di Parigi si troverà ad affrontare un bivio: con o senza Macron? Se fino all’anno scorso le presidenziali avevano espressamente ri-sottolineato il dominio del macronismo, oggi nessuno si aspettava questo cambio di direzione. Nessuno ha osteggiato il ruolo di Macron; nessun oppositore è riuscito ad espugnare la maggioranza dei voti; nessuno ha evidenziato una rotta migliore per la Francia: Macron si è cacciato in questa situazione completamente da solo, e la situazione politica attuale la rappresenta alla perfezione.
L’adozione della nuova riforma pensionistica di metà aprile che, seppur ragionevole o meno, venne estremamente contestata dal popolo, ha suscitato una fortissima opposizione e, soprattutto, una iniziale ma tremenda frattura tra i francesi e Macron. Il successivo e folle atto di ricorrere alla fiducia dell’Assemblea Nazionale per far passare il testo di legge è stato preso come un’inaspettata forzatura e ha definitivamente chiarito i due poli che, prima o poi, dovranno cedere l’uno il posto all’altro: da un lato Macron, che “tira dritto” e rivendica insensatamente riforme assolutamente impopolari; dall’altro, un’opposizione popolare diffusa caratterizzata dall’ascesa – relativamente debole – dell’unione sindacale, che continua ad organizzare contestazioni per le principali piazze francesi.
Una crisi democratica?
Di conseguenza non resta che chiedersi: la crisi di Macron è anche una crisi democratica in Francia? In molti esperti sostengono la crisi della democrazia in territorio parigino, anche se la risposta più corretta sarebbe proprio l’opposto. Le intraprendenti azioni di Macron sono simbolo di una presa di potere del presidente troppo elevata rispetto agli schemi e ai limiti popolari; popolo che, d’altro canto, si aspetta un ritorno alla retta via (assolutamente democratica) da parte del governo francese.
Scacciato questo “dubbio democratico”, un’altra plausibile crisi potrebbe tuttavia instaurarsi, quella della Quinta Repubblica. Secondo un recente sondaggio condotto da Ifop e Fiducial, il 67% dell’opinione pubblica sarebbe favorevole alla formazione di una “Sesta Repubblica” in Francia, con addirittura la formazione di una nuova costituzione basata su un sistema parlamentare e su una rappresentanza proporzionale. Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, infatti, la Francia risulta essere l’unico paese a non avere alcuna forma di rappresentanza proporzionale, utilizzando perciò un sistema che rende difficile ai partiti più “esterni” di esercitare un potere maggiore. Un elemento che, a prescindere, può far sentire a milioni di francesi la sensazione di un’élite al comando lontana dal volere popolare e che, recentemente, potrebbe essersi alimentata con le follie di Emmanuel Macron.
La gente della Quinta Repubblica, inaugurata da Charles de Gaulle, non si sente più gente della Quinta Repubblica. Macron sembra non essere più Macron e i cittadini francesi, allo stesso tempo, approfittano di ogni spazio per poter contestare la politica al comando. Resta quindi da capire se la fine di Macron corrisponderà anche alla fine della Quinta Repubblica francese o se si tratta invece, come affermato dal docente di Diritto pubblico dell’Università di Nanterre Thibaud Mulier, più di una crisi politica che di una crisi costituzionale: “Penso che per il momento la quinta Repubblica sopravviverà a questo choc, anche se potrebbe diventare più ampiamente una crisi istituzionale”.