Medio Oriente: è ora della pace

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Gli americani parlano con gli iraniani; gli iraniani parlano con i sauditi e quest’ultimi con gli israeliani, mentre i cinesi offrono i loro buoni servigi ai palestinesi e gli Stati Uniti allentano le briglie e il controllo nella regione. C’è un tempo per ogni cosa, e dopo oltre quarant’anni di violenza ininterrotta il Medio Oriente è in preda ad un vero e proprio delirio di conversazione politica. “Tutti parlano con tutti”, afferma il generale e stratega israeliano Oren Setter, a dimostrazione di una pacifica (e positiva) foga comunicativa non indifferente e atipica in questa regione.

 

Nuovi rapporti tra Iran e Arabia Saudita in Medio Oriente

A seguito dei colloqui, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno concordato di prendere le relazioni diplomatiche e riaprire le ambasciate […] entro due mesi”. Così riferì a marzo l’agenzia di stampa iraniana IRNA. Dichiarazione di accordo che riunisce i nemici regionali di lunga data, permettendo la ripresa delle relazioni diplomatiche e la riapertura delle ambasciate nei rispettivi paesi. Una nuova era colloquiale ribadita successivamente anche dall’Agenzia di stampa saudita, la quale ha voluto sottolineare come i colloqui si siano svolti a causa di un “desiderio condiviso di risolvere i disaccordi attraverso il dialogo e la diplomazia, e alla luce dei loro legami fraterni”.

L’accordo, secondo le varie dichiarazioni, ha fatto seguito a intensi negoziati tra Ali Shamkhani, stretto consigliere del leader supremo iraniano Ayatollah Ali Khameni, e il ministro di Stato saudita Musaad bin Mohammed Al-Aiban, i quali si sarebbero “incontrati per […] organizzare il ritorno dei loro ambasciatori e discutere i mezzi per rafforzare le relazioni bilaterali”.

Accordi e nuove relazioni che, in qualche modo, sembrano riuscire a mettere fine a decenni di tensioni bollenti e violenza inaudita tra la potenza musulmana sunnita dell’Arabia Saudita e l’Iran, a maggioranza sciita. Paesi bloccati in passate lotte sempre più intense, inclusa la sanguinosa guerra nello Yemen che portò alla morte di oltre 150.000 persone e ad una terribile crisi umanitaria.

 

Tra Washington e Pechino

Un nuovo panorama geopolitico a dir poco rivoluzionario, soprattutto per uno dei protagonisti passati degli scontri in Medio Oriente, gli Stati Uniti. In particolare, un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca ha affermato a NBC News che gli USA hanno accolto con favore “qualsiasi sforzo per aiutare a porre fine alla guerra nello Yemen e allentare le tensioni nella regione del Medio Oriente”. Inoltre: “L’allentamento e la diplomazia, insieme alla deterrenza, sono i pilastri fondamentali della politica delineata dal presidente Biden durante la sua visita nella regione lo scorso anno”.

Tuttavia, ad un appoggio semplicemente formale di Washington bisogna sottolineare il secondo, grande vincitore (dopo ovviamente il Medio Oriente) di questa nuova grande unione: la Cina. Oramai onnipresente, Pechino è stata ampiamente ringraziata nelle varie dichiarazioni per la sua leadership nei colloqui: “In risposta alla nobile iniziativa di Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, del sostegno della Cina allo sviluppo di relazioni di buon vicinato tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran”, scrivono ambedue le parti, “le delegazioni dei due paesi hanno tenuto colloqui durante il periodo dal 6 al 10 marzo 2023 a Pechino”. Elemento degno di nota, a fronte non solo delle possibilità economiche praticamente illimitate del Medio Oriente, ma soprattutto per l’opinione pubblica mediorientale che per anni ha visto gli Stati Uniti come fautori della loro crisi.

Infine, seppur poco considerato nei rapporti ma di centrale importanza, Israele non ha invece accolto nel migliore dei modi questo cambio di direzione nei colloqui tra Iran e Arabia Saudita. L’ex primo ministro israeliano Naftali Bennet, infatti, ha twittato che si trattava di “uno sviluppo pericoloso” per il suo paese e “un colpo fatale” allo sforzo di costruire una coalizione regionale contro l’Iran, il quale – secondo le parole di Bennet – vorrebbe cancellare lo stato ebraico dalle mappe geografiche.

 

Breve sguardo al futuro

Cosa accadrà, di conseguenza, in futuro dopo questo nuovo scenario creatosi in Medio Oriente? Anzitutto un grande, possibile, smacco ad Israele, la quale vede due coalizioni limitrofe avvicinarsi al proprio territorio. Un parziale fallimento anche per gli Stati Uniti, i quali, tuttavia, hanno oramai pochi interessi vitali rimasti nella regione (o almeno quelli per cui vale la pena andare in guerra). In particolare, Washington dovrebbe “fare di meno” in Medio Oriente, come affermato dal saggio di Karlin e Wittes su Foreign Affeirs, e soprattutto alleggerire la propria impronta politico-militare proprio perché “non ne vale la pena”, secondo invece le parole di Martin Indyk sul Wall Street Journal.

Non ci si può ovviamente aspettare che Iran e Arabia Saudita diventino “migliori amici”, ma una qualità più alta delle relazioni internazionali è doveroso attendersela. A fronte soprattutto del fatto che come protagonista e bilancia di questo nuovo rapporto c’è proprio la Cina, tutt’altro che interessata solamente alle risorse economiche del Medio Oriente, ma principalmente per affermare quella tanto mancata soft power nel continente asiatico-africano.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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