È bastato che i partigiani russi prima (durante il mese di maggio) e, attualmente, il gruppo mercenario Wagner si ribellassero che l’intero mondo ha iniziato a pensare alla guerra civile, alla fine di Putin e alla conclusione della guerra in Ucraina. Nulla di tutto ciò, però, è successo: il gruppo capeggiato da Yevgeny Prigozhin si sta ritirando, Putin è ancora sul trono e i bombardamenti su Kiev continuano. Guardiamo, tuttavia, questo quadro sotto un altro punto di vista: è bastato che una parte dell’esercito si ribellasse al potere di Mosca che le (finte) solide fondamenta russa hanno iniziato a tremare vertiginosamente. Al di là dei media, siamo di fronte alla dimostrazione chiara ed evidente che la fiducia della popolazione russa a Vladimir Putin è completamente inesistente; neanche la sezione dell’esercito più cruda, violenta ed estrema è pronta a subire tali perdite. Lo avevamo già “predetto” in un precedente articolo: non all’Ucraina, non agli Stati Uniti, non all’Europa; il futuro della Russia è in mano ai russi.
Tensione a Mosca; non (ancora) guerra civile
Sabato 24 giugno, un anno e quattro mesi dopo lo scoppio della guerra, il presidente Vladimir Putin ha sollevato lo spettro della guerra civile dopo che il leader del gruppo mercenario “Wagner Group” Yevgeny Prigozhin ha preso il controllo di parti chiave del sud del paese. Prigozhin, in particolare, ha criticato a lungo i vertici di Mosca per la loro gestione della guerra in Ucraina, conquistando la grande città strategica di Rostov (centro di comando cruciale durante lo scontro con Kiev e a circa 1.000 chilometri a sud di Mosca). Quella che è stata definita una “marcia della giustizia”, è stata molto probabilmente dovuta ad un attacco dell’esercito russo ad un campo del gruppo Wagner, provocando la morte di qualche militare.
Attenzione però: immediatamente dopo l’insurrezione, qualsiasi media europeo e non ha cominciato a parlare di “guerra civile”, sollevata dallo stesso presidente Putin probabilmente per prepararsi ad un’eventuale trattativa o giustificazione per nuove mosse. Nessuna guerra civile, tuttavia, è in atto: il gruppo Wagner ha “semplicemente” dimostrato – nell’unica maniera che un mercenario conosce – il disprezzo e la non concordanza ai mezzi e strategie con cui Mosca sta gestendo il conflitto. Detto ciò, però, la ribellione dovrà avere prima o poi una fine e al suo indomani vedremo le capacità di Putin di gestire il malcontento popolare; oppure (e molto più probabile), la sua incapacità.
La minaccia di un’insurrezione armata, comunque, sembra essersi dissipata a soli duecento chilometri dalla capitale: di Prigozhin non si hanno notizie e il gruppo ha rifiutato di rispondere alle attuali domande fino a “quando non avrà una comunicazione adeguata”; i militari si stanno ritirando da Mosca e Putin può tornare a dormire sonni tranquilli. Forse.
Roulette russa
Da questo breve ma intenso avvenimento possiamo trarre almeno due conclusioni. La prima di queste è che il Cremlino vive oramai in una vera e propria “roulette russa”. Sono infatti molti i duri colpi che Mosca può sferrare ai suoi nemici senza subire contraccolpi, dal gas europeo alle alleanze con Pechino che limitano l’avanzare statunitense. C’è, però, un solo “proiettile” che Mosca non può prevedere e controllare: sé stessa. O meglio, la sua popolazione. Tutti questi accordi, tutti questi alleati o appoggi militari nazionali, tutte queste richieste alla popolazione sono sia un grande punto di forza per la nazione ma, soprattutto, un grande pericolo nel momento in cui non vengono rispettati. Vent’anni di modifiche costituzionali e guerre hanno portato Putin al potere per vent’anni; servono pochi giorni, magari un weekend, per mandare tutto all’aria.
La seconda, e ultima, conclusione a cui possiamo giungere è l’obiettivo con cui il Wagner Group ha compiuto la sua “marcia su Mosca”: Yevgeny Prigozhin non ha mai dichiarato una contrarietà alla guerra contro Kiev ma si è piuttosto opposto ai metodi sbagliati con cui essa veniva condotta. Nessun membro si è mai esplicitamente opposto allo scontro o ha voluto intrattenere alleanze con l’Europa: la fine di Putin non significherebbe obbligatoriamente il termine della guerra. Una guerra civile interna alla Russia sarebbe sicuramente qualcosa di positivo: ma cosa ci sarebbe dopo?