Navalny e una giustizia russa caricaturale

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Se la gravità della pena era prevedibile, altrettanto intuibile e caricaturale sarebbe stata la violenza della giustizia russa nei confronti del principale oppositore russo di Vladimir Putin, Alexeï Navalny. A metà giornata, venerdì 4 agosto, l’attivista e politico russo è stato condannato a diciannove anni di detenzione per sei accuse, tra cui incitamento e finanziamento di attività estremiste e creazione di un’organizzazione estremista. In forza delle precedenti accuse, secondo le attuali sanzioni Alexeï Navalny dovrebbe uscire di prigione nel 2050, all’età di 74 anni… oggi ne ha 47.

 

La condanna europea e la rivoluzione di Navalny

L’Unione europea condanna fermamente la sentenza odierna emessa da un tribunale di Mosca nei confronti del politico dell’opposizione russa Alexeï Navalny, condannato ad altri 19 anni di reclusione per azioni che costituiscono legittime attività politiche e anticorruzione”. Sono queste le parole che, il giorno stesso dell’esemplare condanna (talmente rapida che il processo è durato solamente quindici minuti), l’Unione europea ha voluto esplicitamente inviare al Cremlino; parole, ovviamente, scontate a fronte di un atto tanto chiaro quanto deplorevole. “Ciò è una chiara indicazione del fatto che il sistema giuridico russo continua a essere strumentalizzato contro Navalny e mostra inoltre quanto le autorità russe lo temano”. La giustizia russa, infatti, è divenuta già prima dall’inizio della guerra ucraina caricatura di sé stessa, del suo modus operandi; una caricatura tanto autoritaria quanto affannata, costretta a condanne esemplari e “annullamenti” della persona pur di appiattire qualunque pensiero rivoluzionario all’interno del proprio territorio. Le aberranti accuse di “riabilitazione del nazismo” e di “estremismo” verso Navalny confermano ancora una volta quanto accaduto ad un sistema giudiziario maldestro, obbligato a tacere un uomo per nascondere anni e anni di corruzione e autoritarismo tra i vertici di Vladimir Putin.

Lo stesso Navalny, oramai costretto come un dannato dell’Inferno alla pena per il resto dei suoi giorni, quasi ironico, cerca di continuare la sua battaglia contro Putin. “La sentenza sarà lunga, di tipo ‘stalinista’”, ha annunciato il “rivoluzionario” sul suo canale Telegram. “La formula per calcolare il verdetto è semplice: quello che ha chiesto il pubblico ministero, meno il 10-15%. Hanno chiesto venti anni? Mieterò diciotto o qualcosa del genere. Poco importa, perché un caso di terrorismo sta già avvenendo a pieno ritmo. Possono darmi altri dieci anni aggiuntivi”.

 

Chi morirà prima?

Diciannove anni in una colonia penale di massima sicurezza. Il numero non conta […] Dove l’ergastolo si misura dalla durata della mia vita o dalla durata della vita di questo regime”. Chi morirà prima? Il regime di Putin o Alexeï Navalny? Questo caso dimostra tutta la debolezza dell’impero russo che, usando le parole dell’attivista politico riferendosi alla popolazione, è “costretto a cedere la Russia senza combattere alla banda di traditori, ladri e farabutti che hanno preso il potere. Putin non deve raggiungere il suo obiettivo. Non perdere la volontà di resistere”. Come affermato già in precedenti articoli, tutti sono “in resistenza” contro la Russia: l’Ucraina, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e anche gli alleati più stretti dello Zar (pensiamo alle resistenze e ai giochi di equilibrio di Ankara); manca solo che tutta la popolazione russa, in qualche modo, riesca a rovesciare dalla sua parte questa resistenza. Se tutto il mondo resiste, anche la Russia dovrà cominciare a resistere con maggior forza; e la vittoria di Mosca è tutt’altro che scontata.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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