Lo scontro Kiev-Mosca è sicuramente il tema geopolitico più delicato e caldo di questi ultimi mesi, soprattutto dopo il recente fallimento del vertice “NATO-Russia“, che ha visto quest’ultima allontanarsi dal dialogo di fronte all’indisponibilità occidentale riguardo le preoccupazioni sull’allargamento dell’alleanza. Dispiegamento di forze terrestri al confine ed evocazione dell’utilizzo di armamenti missilistici in caso di aumento della pressione statunitense (citando addirittura i nomi di Venezuela e Cuba), sono solo alcune delle motivazioni che hanno portato l’OCSE ad affermare che “ci troviamo davanti al più grande rischio di guerra in Europa degli ultimi trent’anni”.
Le motivazioni di questo scontro sono da ricercare in almeno tre fattori caratterizzanti il rapporto passato e presente di questi due Stati, ma anche nelle caratteristiche culturali del governo russo.
Un primo fattore è da ricercare nella storia che ha legato questi due Paesi. Russia e Ucraina, con rapporti risalenti addirittura al IX secolo, formarono – assieme alla Bielorussia – quel nucleo slavo dell’Unione Sovietica, determinando un rapporto di condivisione di un “unico spazio storico e spirituale”, come affermato dallo stesso Putin nel luglio dell’anno scorso.
Il tragico “muro” che si è innalzato tra i due vecchi compagni è cominciato nel 1991, con il crollo dell’Unione Sovietica e la perdita russa delle 14 Repubbliche fino a quel momento sotto il suo diretto controllo, tra cui ovviamente l’Ucraina.
Nel 2014 iniziò l’attuale conflitto russo-ucraino, determinato dalla decisione unanime del Consiglio della Federazione Russa di appoggiare la petizione per intervenire militarmente nel territorio avversario. Lo scopo era quello, consolidato tramite un discutibile referendum, di integrare i territori della Crimea a Mosca, portando inevitabilmente a scontri armati tra le due parti.
Come dimostrato svariate volte dalla storia, la Russia ha sempre avuto “difficoltà” ad accettare le sconfitte, soprattutto quando significava una perdita territoriale.
Dalla fine della Guerra Fredda, la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, 1949) si è espansa verso Est, accogliendo parte dei territori persi dalla Federazione. Tale spostamento, in ottica russa, rappresentò un rischio per la propria sicurezza nazionale, cominciando gli attriti.
Sebbene l’Ucraina non faccia parte della NATO, ha da sempre mostrato sentimenti euro-atlantici, ottenendo un primo risultato nel 2008 con l’avvio della politica della “porta aperta” e la promessa di integrazione occidentale.
Inasprimento dei rapporti avvenne nel 2014: il rovesciamento del governo filo russo di Victor Janukovič, vide la sostituzione in Ucraina di un governo a stampo occidentale, seguito da numerose esercitazioni militari congiunte con NATO e Washington – considerate necessarie per un rafforzamento di confine ucraino, soprattutto dopo l’annessione della Crimea nello stesso anno da parte del Cremlino.
Un’ultima motivazione è da ricercare nella mentalità politica del governo russo. Osservando le figure che hanno ricoperto la presidenza della Federazione (anche solo da Lenin in poi), notiamo una spiccata disaffezione e angoscia nei confronti dell’Occidente e, più in generale, un’avversione alle rivoluzioni.
La paura di Stalin per le insurrezioni (e culminata con le celebri “purghe”), è stata ereditata dall’attuale successore Vladimir Putin, il quale ha dimostrato un profondo odio verso l’opposizione politica nei recenti fatti coinvolgenti Alexei Navalny, attivista e politico liberale ucraino avvelenato dopo aver dimostrato pubblicamente l’opposizione alla linea politica della Federazione russa.
Il futuro dello scontro Russia-Ucraina rimane incerto, sicuramente non semplificato dall’“intromissione” americana. Ciò che sembra essere chiaro dall’analisi storico-culturale appena compiuta, è la quasi costante necessità russa di ricerca di un “nemico”, di un non-abbandono della tradizione (mostrato dallo stesso Putin in un’intervista del 12 dicembre in cui rimpiangeva la scomparsa dell’URSS) e di una esigenza nel terminare i cosiddetti “affari incompiuti”, come quello dell’Ucraina. Fattori che avvicinano e allontanano congiuntamente la possibilità di una nuova guerra, rendendo instabile e tortuoso il “terreno di gioco”.