Turchia: Erdoğan l’immortale

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Tre decenni. Tre decenni che Recep Tayyip Erdoğan ricopre – e ricoprirà – una carica al potere della Turchia. In particolare, come 25° Primo ministro dal 2003 al 2014 e, con la recente vittoria alle elezioni presidenziali, come 12° Presidente della Turchia dal 2014 al (escludendo plausibili “sconvolgimenti” interni) 2028. “Tre”, quindi, come le tre vittorie che lui e il suo entourage si sono assicurati nelle ultime tre elezioni presidenziali. Questa volta, però, la battaglia al potere è stata più difficile che mai, dopo gli ultimi anni di crisi economica, inflazione vacillante e rapporti con l’Occidente sempre più fragili (soprattutto per le gravi questioni migratorie).

 

Nonostante la crisi, la Turchia vota Erdoğan

Recep Tayyip Erdoğan ha esteso i suoi due decenni al potere, assicurandosi la vittoria sul suo rivale Kemal Kılıçdaroğlu dopo un ballottaggio senza precedenti, in un voto che riflette tutt’ora la netta e persistente polarizzazione politica della Turchia. Domenica 28 maggio, con il 99,43% dei voti contati, la Suprema Autorità Elettorale turca ha infatti annunciato che Erdoğan aveva ottenuto il 52,14% dei voti, contro il 47,86% dell’opposizione. Una vittoria “di misura” acclamata euforicamente dallo stesso presidente prima che il risultato ufficiale venisse proclamato: “Le elezioni vanno e vengono, l’alluvione se ne va ma la sabbia rimane”, annunciava sul tetto di un autobus vicino alla sua residenza a Istanbul. “La cosa principale è che il nostro Paese non devia dai suoi obiettivi e che la nostra nazione si prenda cura di rimanere unita. Questo è il messaggio più grande delle elezioni di oggi”.

A 69 anni resta il politico più popolare dai tempi di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna, anche se oramai superato da Erdoğan in prerogative e longevità alla guida dello Stato. Una personalità dominante nella scena politica turca, amato e visto come un padre dai suoi sostenitori e odiato dai suoi detrattori, che protestano da anni mentre continua a coltivare lo status di un sultano e a rimodellare la Turchia a sua immagine e somiglianza. Dopo vent’anni di esercizio del potere, perciò, nulla sembra poter intaccare Erdoğan “l’Immortale”, né il suo sfrenato autoritarismo (con oltre 200.000 inchieste legali aperte per oltraggio al presidente) né l’inflazione galoppante (con un 44% annuo). Paradossalmente, però, per tutti questi gravi problemi della Turchia le masse conservatrici non se la sono presa con lui, assicurandogli il terzo mandato consecutivo.

Le aspettative, tuttavia, rimangono; e nessuno può escludere una rivoluzione interna nel momento in cui il presidente non riesca a tenere più a freno quel 52% che lo ha riportato al comando. Appena rieletto, quindi, il presidente è atteso sulle principali questioni economiche e, in primis, sulla svalutazione crescente della lira turca, esponenzialmente ri-aumentata lunedì 29 maggio, il giorno successivo alle elezioni. Caduta causata dalla linea di pensiero del presidente Erdoğan degli ultimi anni, incapace di cambiare il corso del suo credo monetario per il quale la caduta dei tassi di interessi dovrebbe essere una cura per l’inflazione (che ha, d’altro canto, superato l’80% nel 2022 e scesa al 44% ad aprile). Un’economia che, ricordiamo, deve anche uscire indenne da una delle più tragici catastrofi naturali che il XXI secolo abbia mai conosciuto, con il terremoto del 6 febbraio che ha strappato la vita a quasi sessanta mila persone tra turchi e siriani.

 

In Occidente non ci capiamo molto…

La rielezione di Recep Tayyip Erdoğan in Turchia ha suscitato il consueto coro di congratulazioni da parte della politica mondiale. Da Joe Biden a Vladimir Putin, da Emmanuel Macron a Volodymyr Zelensky. Molti capi di Stato e di governo hanno voluto accogliere “a braccia aperte” il terzo mandato consecutivo del presidente turco; discreti favori particolarmente ambigui, soprattutto dopo il deterioramento dei rapporti tra Ankara e il mondo Occidentale (principalmente dopo il fallito colpo di stato del 2016). Conosciuti i risultati elettorali, perciò, gli occidentali hanno cercato di fare buon cuore contro la sfortuna, non senza però evidenziare la necessaria coesione alla NATO – il cui allargamento alla Svezia è bloccato proprio dalla Turchia: “Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme come alleati nella NATO su questioni bilaterali e sfide globali”, ha twittato per esempio Joe Biden. “La nostra sicurezza comune è una priorità per il futuro”, ha invece affermato il primo ministro svedese Ulf Kristersson.

Rimane quindi una sola cosa da chiedersi. Sono in molti ad osservare l’operato di Erdoğan e, soprattutto, a sottolineare la negatività del suo autoritarismo e il voler plasmare la Turchia a sua immagine e somiglianza. In Occidente rimane l’immagine di un leader assolutamente ostile e inopportuno, non in grado di controllare il suo stato ed estremamente legato all’Asia di Cina e Russia. Nonostante ciò, Erdoğan è nuovamente presidente; e i turchi lo hanno votato democraticamente. O Erdoğan è un grande adulteratore, o qualcosa ci sfugge in questa sua persistente vittoria e, soprattutto, capacità governativa.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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