La domanda che molti economi e politologi si stanno ponendo da circa un anno a questa parte è la seguente: il concetto di globalizzazione si sta dimostrando fallimentare?
Nell’ultimo anno vi sono stati molteplici eventi che hanno scosso gli equilibri socio-politici mondiali, portando i diversi continenti a dover prendere decisioni difficili e spesso in contraddizione con le linee politiche ed economiche consolidate nei decenni scorsi. L’Europa, divenuta palcoscenico di una sanguinosa e immotivata guerra, si è vista costretta a tagliare i rapporti commerciali con Mosca ed a escludere la Russia dal Sistema Fiscale Occidentale (SWIFT). Gli Stati Uniti, impauriti dal Belt and Road Initiative e alleati di Taiwan, si trovano, invece, a dover affrontare una vera e propria guerra commerciale contro la sempre più potente “Nazione del Dragone”, alla quale non sembra più bastare il solo monopolio nel mercato asiatico. Se tutto ciò non bastasse, il mondo intero deve ancora affrontare le conseguenze di oltre tre anni di pandemia. A fronte di quanto detto la domanda permane e si evolve ulteriormente: Siamo realmente giunti alla “morte della Globalizzazione”?
Tinglong Dai
L’intero pianeta sta assistendo a dei cambiamenti radicali e veloci, che secondo l’esperto americano di Globalizzazione alla Johns Hopkins Carey Business School, Tinglong Dai, potrebbero mettere effettivamente a dura prova il concetto di “confini porosi” – ovvero facilmente valicabili – su cui l’economia mondiale si è basata da diversi anni a questa parte. La sempre più preoccupante mancanza di risorse e la loro presenza in specifiche aree del Pianeta sarà solo una delle grandi sfide di questo secolo. Secondo Tinglong Dai, infatti, il mondo da un punto di vista commerciale si potrebbe, nei prossimi anni, dividere in due grandi aree di influenza: l’Occidente caratterizzato da un mercato libero e da una grande mobilità sociale e l’Oriente, capeggiato da Russia e Cina, impossibilitato ad intrattenere rapporti economici con l’altra metà del globo. “Ciò significa che il libero scambio di beni e servizi in categorie sensibili e strategiche sarà severamente limitato e anche le banali catene di approvvigionamento saranno soggette a una maggiore regolamentazione e pressione pubblica”, afferma lo studioso americano. Beni come chip, batterie e autoveicoli, secondo questa visione, saranno soggetti a restrizioni e questo porterà, al contrario di come succede oggi, a chiudersi ancor di più nei due blocchi sopracitati. L’equilibrio economico e l’interdipendenza commerciale – formatesi e strutturatesi negli ultimi decenni – saranno più che mai sensibili ai cambiamenti geopolitici avvenuti nell’ultimo anno.
World Economic Forum in Davos
Durante il World Economic Forum 2023, tenutosi a Davos, in Svizzera, si è trattato molto di questo possibile collasso, soprattutto nei termini di una eventualità che non siamo pronti ad accettare e ad affrontare. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è dimostrato preoccupato a riguardo di una possibile divisione economica e sociale in due blocchi di influenza: «Stiamo rischiando quella che io chiamo “La grande frattura” – la divisione del mondo in due enormi aree economiche – […] che andrebbe a creare due differenti regole di commercio, due valute dominanti, due reti internet e strategie in conflitto tra loro. Questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno». Da questa dichiarazione si intuisce quanto il decadimento della globalizzazione sia una dinamica da non sottovalutare: la fine del globo interconnesso è un’eventualità possibile, tangibile e che preoccupa molti, primo fra tutti il sottosegretario dell’ONU.
Global share of trade to GDP – Quota globale del commercio rispetto al PIL
Il Global share of trade to GDP, l’indice che mostra l’incidenza del mercato globale sul PIL mondiale, mostra un’importante discesa della curva. Nel 1986 tale dato si aggirava intorno al 34% del PIL, nel 2008 circa al 61%, per scendere nel 2020 a 51,6%, con una ripresa durante il 2021, arrivando ad una quota che si aggira attorno al 57%. Per molti in realtà questo dato è al quanto rassicurante, in quanto sembrerebbe dimostrare non tanto che il concetto di globalizzazione sta piano piano morendo, ma che semplicemente, dopo una spinta iniziale molto forte, il mercato mondiale si sta assestando e rallentando al fine di trovare un equilibrio più stabile e meno soggetto ad oscillazioni.
Tre scenari
Secondo uno studio condotto da Crédite Suisse, gli scenari plausibili in tema di globalizzazione sono tre. Il primo possibile non presenta grandi rivoluzioni, anzi prospetta una prosecuzione del concetto di globalizzazione per come la consociamo noi. Secondo tale visione il commercio internazionale continuerà a crescere, non vi saranno da parte delle Nazioni decisioni ostacolanti, come l’introduzione di norme di carattere proibizionista e l’economia sarà capeggiata da poche e grandi Multinazionali occidentali. Il secondo scenario prevede ciò che preoccupa Guterres e Tinglong Dai, ovvero la creazione di più bacini di influenza. L’economia planetaria potrebbe quindi essere distribuita in tre poli: le Americhe, l’Asia e l’Europa, portando l’immigrazione ad essere di carattere “regionale” e non intercontinentale. Il terzo scenario è il più cupo e spaventoso: esso prevede un rallentamento dell’economia e del commercio radicale, causato dal ritorno del proibizionismo e dall’aumento dei debito pubblico degli Stati. Questo avrebbe conseguenze sociali e geopolitiche devastanti e poterebbe alla morte definitiva della globalizzazione.
Conclusione
Il concetto di “mondo globalizzato” su cui basiamo le nostre abitudini, dagli acquisti online, alle serie TV che guardiamo, è fortemente a rischio. Gli eventi tragici che hanno caratterizzato gli ultimi anni hanno reso fragile l’equilibrio commerciale che si era creato negli ultimi decenni e potrebbero portare alla morte della globalizzazione e al ritorno di un mondo, nuovamente, diviso.