Il Venezuela è uno degli stati con le più grandi riserve petrolifere accertate del pianeta. Una nazione talmente ricca di petrolio che potrebbe addirittura distribuirlo gratuitamente. Nonostante ciò, però, guidare è quasi impossibile e sono sempre meno le automobili in grado di girare per il paese con facilità. La crisi del carburante venezuelana è uno dei tanti problemi di un’economia completamente in crisi e immersa in una situazione oramai costante di iper-inflazione.
La crisi del carburante in Venezuela
Da oramai anni, il Venezuela continua a registrare una diffusa carenza di carburante, in particolare nelle aree agricole e nei comuni rurali. Le cause di questa crisi sono da ricercare durante l’ascesa al potere dell’ex presidente Hugo Chavez (al comando dal 1999 al 2013), quando l’impennata dei prezzi del petrolio ha prodotto un’ondata di entrate che ha scatenato la più tremenda corruzione che il paese abbia mai sperimentato. Oggi, con la produzione di petrolio venezuelana di nuovo in calo (e con un minimo storico nel 2018-19), la cattiva gestione politica continua a sperperare le entrate in calo della nazione sudamericana. La PDVSA (Petroleos), la compagnia petrolifera statale, sta subendo una nuova epurazione con gli arresti di alti funzionali e, in particolare, le dimissioni del ministro del Petrolio il 20 marzo.
La corruzione e la mal gestione ha portato, come conseguenza principale, l’assenza di riparazione e manutenzione delle principali raffinerie venezuelane. Seppur dalla fine dello scorso anno una delegazione di tecnici iraniani collabora con PDVSA per gestire i danni, dal 2010 si continuano a registrare sempre più guasti cronici, esplosioni e sversamenti di greggio. La conseguenza, quindi, è una carenza di gasolio nelle stazioni di rifornimento, dove automobilisti sono stati portati a “segnare il proprio posto” o dormire all’interno dei loro veicoli per assicurarsi di poter riempire i loro serbatoi.
L’assenza di manutenzione è, però, una goccia in un “serbatoio” di problemi molto più grande. Durante il periodo pandemico, infatti, la rete di raffinerie – per investimenti insufficienti e mancanza di manutenzione – ha lavorato solo poco più di 100.000 barili al giorno di greggio e prodotto solo 7.000 barili di benzina.
Al di là del gasolio
Questa crisi del gasolio e del petrolio appena descritta, però, non è altro che conseguenza di un problema politico-economico molto più grande. Dal 1999, il Venezuela è governato da due uomini dello stesso partito: Hugo Chavez, presidente fino al 2013, e Nicolas Maduro, braccio destro del primo e l’attuale presidente. Il loro partito socialista PSUV ha acquisito nei due decenni al potere il controllo delle principali istituzioni chiave, rendendo il ruolo del presidente molto più potente e indebolendo gravemente il sistema di controlli ed equilibri. Non molto tempo dopo l’elezione di Maduro, i prezzi globali del petrolio sono crollati e il Venezuela – che dipende quasi interamente dalle entrate petrolifere – è entrato in una delle peggiori recessioni, durata oltre sette anni e che ha portato alla fuga di oltre sette milioni di persone dal 2015.
Nonostante il supporto di Russia e Cina nella crisi politica del gennaio 2019, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti a Maduro e alla compagnia PDVSA hanno costretto il presidente a limitare il suo accesso alla valuta estera. Con un’economia in completa caduta libera, il presidente si è visto quindi costretto ad allentare alcune delle rigide normative introdotte dal suo predecessore. Di conseguenza, le carenze si sono attenuate e la situazione rispetto al 2018 – in cui l’inflazione era del 130mila % – è migliorata e nell’ultimo anno lo Stato ha registrato un’inflazione annua del 234%. Tuttavia, il tasso di inflazione della nazione sudamericana rimane uno dei più alti al mondo e il rischio di un ritorno ad una situazione di iper-inflazione (a fronte, per esempio, dell’immenso problema del gasolio) rimane ancora dietro l’angolo.