Sei studentesse adolescenti, in un college pre-universitario nella regione meridionale dell’India, Karnataka, hanno affermato di essere state escluse dalle lezioni per settimane perchè insistono nell’indossare l’hijab, velo tipico delle donne musulmane. L’opposizione dell’istituto, il quale afferma di aver chiesto di rimuovere il velo solo all’interno della classe, ha provocato un’atmosfera sempre più polarizzata, dopo anni di manifestazioni pubbliche di fede e contro il grande fenomeno dell’islamofobia.
Ovunque nel mondo le donne musulmane possono essere identificate dai loro costumi; ed è spesso possibile distinguere tra diverse culture islamiche solo osservando le numerose variazioni di “veli” che indossano. L’Hijab è il copricapo più comunemente adoperato dalle donne occidentali, un velo quadrato che copre testa e collo lasciando libero il viso, differenziandosi dal Burqa che copre totalmente il corpo lasciando intravedere gli occhi tramite una retina. L’Hijab è una foggia di velo che adempie almeno alle norme minime di velatura delle donne, sancito dalla stessa giurisprudenza islamica; nonostante ciò, da molti Stati europei e, in questo caso, dall’India viene visto come un “pericolo” e mancanza di rispetto verso luoghi pubblici e specialmente dai datori di lavoro.
“Abbiamo alcuni insegnanti maschi. Dobbiamo coprirci i capelli prima del loro arrivo. Ecco perché indossiamo l’hijab”, ha detto alla BBC Hindi una delle studentesse. I ripetuti casi di vigilantismo e incitamento all’odio contro i musulmani nell’area del Karnataka, hanno aggravato le faglie religiose e le voci di minoranze che affermano il loro diritto alla libertà religiosa.
Muskaan Khan è diventata inavvertitamente il volto della resistenza per le donne musulmane sempre più limitate all’utilizzo del velo: in un video, la diciannovenne si è ribellata ad un gruppo di ragazzi indiani, i quali tentavano di provocarla e attaccarla per l’utilizzo dell’hijab. “Tutto ciò che voglio è difendere i miei diritti e la mia istruzione. Non ho problemi con quello che gli altri indossano”, ha affermato la ragazza, la cui famiglia è stata minacciata da gruppi esterni indù, favorevoli al divieto.
La situazione si è complicata ulteriormente quando le sei ragazze hanno coinvolto il Campus Front of India, l’ala studentesca del gruppo islamico radicale, contattato nel momento in cui gli insegnanti del college hanno impedito la partecipazione alle lezioni. La giustificazione della direzione dell’istituto è la necessità di un insegnante di osservare completamente l’espressione facciale di uno studente per valutare l’attenzione durante l’insegnamento, “Ma la direzione non può insistere sul fatto che non consentirà agli studenti di coprirsi i capelli per mantenere l’uniformità. Non è consentito dalla Costituzione”, ha dichiarato l’avvocato Kaleeswaram Raj, mostrando come diritti degli studenti e dirigenza siano in competizione l’uno con l’altro.
Non solo in India; in molti Stati europei, come Germania e Francia, si combatte da anni per il divieto dell’utilizzo dell’hijab nei luoghi di lavoro. È una richiesta alquanto delicata, talvolta molto vicina al fenomeno – in Occidente molto comune – dell’“islamofobia”, ovvero quella visione dell’Islam come violenta, aggressiva, minacciosa e a sostegno del terrorismo.
La stessa Corte di giustizia europea si è espressa nel giugno 2021, affermando come il divieto di indossare il velo islamico al lavoro “può essere giustificato dall’esigenza del datore di lavoro di presentarsi in modo neutrale nei confronti di clienti o prevenire conflitti sociali”. È una dichiarazione quella del tribunale europeo poco chiara: secondo la disposizione, donne e uomini dovrebbero privarsi di tradizioni e abiti tipici religiosi per evitare conflitti all’interno di un contesto sociale. La linea, quindi, tra rispetto sociale e islamofobia è sempre più sottile e sempre più facile da tagliare, rischiando di alimentare l’odio verso un’usanza tipica di un mondo che da anni facciamo fatica a comprendere e accettare.