Blindsight: la cecità cerebrale

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La cecità, comunemente intesa, è definibile come assenza, totale o relativa, della facoltà visiva. Questa condizione, nella maggioranza dei casi, è data da un “malfunzionamento” della retina, la quale non è in grado di rilevare correttamente i raggi luminosi. Vi è però un’altra tipologia di cecità, molto poco conosciuta, chiamata “cecità corticale che si verifica a seguito di un danno alla corteccia visiva, ovvero la parte del nostro cervello incaricata di elaborare gli impulsi elettrici provenienti dagli occhi.

Tale disturbo si presenta a seguito di un grave danno alla “corteccia striata”, zona del cervello incaricata di processare gli impulsi visivi. La cecità corticale rende coloro che ne sono affetti totalmente incapaci di vedere, almeno coscientemente, oggetti ed avvenimenti. Tuttavia, a differenza delle persone che soffrono di cecità “fisiologica”, essi riescono a mantenere diverse capacità reattive appropriate agli stimoli che gli vengono posti davanti. Un uomo che soffre di cecità corticale può essere dotato di quella che in gergo viene chiamata “Blindsight, o visione cieca. Cosa significa? Se i soggetti che hanno subito un danneggiamento della corteccia striata vengono chiamati a dover prendere una scelta forzata, essi sono in grado di utilizzare una visione inconscia che permette loro di prendere la decisione corretta o più conveniente in una data eventualità. I soggetti sono del tutto all’oscuro, a quanto sembra, del perché decidano di prendere una scelta piuttosto che un’altra ma i dati suggeriscono che non si sia di fronte ad una presa di posizione data dal caso: infatti, il tasso di scelte corrette è di molto superiore rispetto a ciò che ci si potrebbe aspettare dalle pure decisioni casuali. Tale abilità residua si manifesta anche nel momento in cui i soggetti affetti da cecità corticale si trovano in situazioni in cui devono afferrare oggetti presenti nel campo visivo cieco: essi danno un corretto orientamento alla mano pur non essendo coscienti del perché stiano compiendo quella determinata azione.

Questo disturbo viene definito come “capacità visiva in assenza di consapevolezza riconosciuta”. Tale malattia, però, viene distinta in due forme: la prima, quella più radicale, è caratterizzata dalla totale assenza di consapevolezza residua da parte dell’individuo e viene definita come “cecità corticale di tipo 1”. La seconda, invece, porta il soggetto ad avere una consapevolezza generica, in altre parole, coloro che soffrono di questo disturbo – definito “di tipo 2” – sanno di vedere un qualcosa che,  tuttavia, non sono in grado di identificare con esattezza. A rigor del vero, in entrambe le tipologie di cecità sopracitate i soggetti sono coscienti del fatto che, nel loro campo visivo compromesso, vi è “qualcosa” ma solo coloro che soffrono della cecità corticale di tipo 2 sanno indicare semi-efficacemente un contenuto visivo.

A livello psicologico e filosofico, il fenomeno del blindsight ha una valenza non trascurabile. Questa dinamica potrebbe andare a dimostrare l’esistenza di esseri senzienti che, pur non avendo nessuna coscienza e consapevolezza di ciò che stanno vivendo, riescono a condurre azioni corrette ed efficaci. Facciamo un esempio per chiarire meglio la questione: se dovessimo tirare una palla ad un nostro amico lui sarebbe cosciente che un oggetto si sta muovendo nella sua direzione e, una volta presa consapevolezza di ciò, egli si muoverebbe di conseguenza, schivando o cercando di prendere al volo la palla in questione. Se invece dovessimo tirare la palla ad una persona che soffre di cecità corticale lui potrebbe schivare l’oggetto lanciato senza avere consapevolezza del fatto che la sua persona si trovi esattamente sulla traiettoria di tale palla. Per citare un caso più emblematico: coloro che soffrono di cecità corticale riescono a seguire con gli occhi l’andamento di un oggetto che si muove nel loro campo visivo cieco senza avere alcuna spiegazione conscia del perché stiano muovendo gli occhi in tale direzione. A livello prettamente morale, queste dinamiche creano diverse questioni altamente rilevanti. Una tra queste è il fatto che potrebbero esistere delle persone capaci di agire pur non avendo un bagaglio di esperienze vissute, tabule rase che agiscono privi di coscienza. In altre parole, potrebbero esserci umani in grado di prendere al volo una palla senza aver mai fatto un’esperienza simile, senza aver consapevolezza delle proprie azioni e senza neanche aver mai visto, in modo cosciente, una palla. Potrebbero esistere, come li definisce Andrea Zhok (Professore di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Milano) nel suo libro “Identità della persona e senso dell’esistenza”, “zombie privi di passato che però sanno come vivere il presente e fanno esperienze ad un livello inconscio al quanto profondo. 

Tale ipotesi però, venne smentita a seguito di diverse scoperte e ipotesi. Secondo Humphrey, psicologo inglese, “i soggetti affetti da blindsight hanno un campo visivo intatto, ma non hanno un mondo visivo”, questo significa che la loro reattività è ancora operante, ma non hanno modo di farne qualcosa. In altre parole, coloro che soffrono di cecità corticale hanno un livello di consapevolezza che permette loro di dare alla realtà risposte motorie ad un livello pre-corticale, ciò significa che non sono zombie che agiscono privi di consapevolezza ma sono persone che hanno acquisito, a seguito di un danno alla corteccia striata, un livello di coscienza e risposta agli stimoli interni che prescinde dalla parte danneggiata e che quindi non viene immagazzinata all’interno del cervello.

Il problema qui presentato potrebbe rivelarsi, a molti, come insulso ma in realtà ha una rilevanza non da poco anche nella realtà: se esistesse realmente una persona priva di coscienza e di passato, che agisse e rispondesse correttamente alla realtà nella quale si muove, ci si troverebbe davanti a qualcosa di totalmente nuovo e mai visto: una tabula rasa che non sa di agire, eppure, priva di coscienza, riesce a svolgere efficacemente diverse mansioni. La domanda che sorge spontanea e alla quale nessuno può dare una risposta è: questo nuovo essere lo si può chiamare “umano” o l’avere coscienza dei propri atti è prerogativa essenziale della nostra specie?

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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