I ragazzi più giovani sono a contatto con un mondo nuovo, poco regolarizzato ma con infinite possibilità: il mondo digitale. Esso è composto da immagini, opinioni, informazioni, e i ragazzi più giovani ne sono esposti già dalla tenera età. Mediamente, negli ultimi anni, un genitore concede al proprio figlio uno smartphone entro i dieci anni d’età. Questa dinamica può, di certo, rendere il bambino più capace di tutelarsi e di imparare a gestire meglio il mondo digitale ma, d’altro canto, può anche renderlo vulnerabile e soggetto ad informazioni che non è ancora in grado di processare nel modo corretto. Quindi la tecnologia fa crescere o regredire i nostri figli?
Shelley Pasnik, dirigente del Center for Children and Technology, ha affermato che è cambiata l’esposizione dei ragazzi alle informazioni, i bambini ricevono in modo costante quelle che lei chiama le “idee fornite dai media”, ovvero contenuti, specialmente video e audio, che non sono destinati ad un pubblico infantile, bensì ad adulti con capacità cognitive già ben sviluppate. Molti giovani si ritrovano a dover processare contenuti violenti, a sfondo sessuale oppure siti nei quali viene utilizzato un linguaggio non adeguato e questa esposizione incontrollata e, a quanto pare, incontrollabile provoca, a lungo andare, una normalizzazione e un appiattimento delle poche difese che il bambino ha sviluppato. Questa dinamica di desensibilizzazione ha luogo proprio perché il cervello dei più giovani non ha avuto modo, e tempo, di sviluppare meccanismi di elaborazione che possano subentrare nel momento della visione di un contenuto destinato agli adulti. Tuttavia, non si parla di esposizione solo ed unicamente a contenuti audio-visivi, ma sono importanti anche le interazioni digitali con altre persone, spesso di diversa età e di diversa provenienza. I bambini sono “liberi” di comunicare con sconosciuti senza essere supervisionati da figure più grandi e ciò può causare un aumento dei casi di cyberbullismo o si corre il rischio che il bambino si imbatta in conversazioni che non può gestire. Questi due aspetti, per quanto possano sembrare innocenti, in realtà sono altamente pericolosi, in quanto sono in grado di creare disagi psicologici ai più piccoli, in quanto sono molto vulnerabili e si trovano in un mondo che non sono mentalmente pronti ad affrontare.
Vi è un altro lato di questa situazione da dover analizzare, quello per cui i ragazzi sono esposti a molte notizie ed informazioni che le generazioni precedenti non avevano a disposizione. I bambini, quindi, se ben indirizzati, possono formare un pensiero critico e acquisire conoscenze positive in modo indipendente. A livello sociologico l’acquisizione autonoma di nozioni e la possibilità di creare rapporti extra-famigliari, ha una potenzialità grandiosa, soprattutto nelle zone meno connesse o nelle aree in cui vi è un forte pensiero polarizzato.
Un altro fattore molto importante, o forse il più importante, per la crescita dei bambini è la presenza e la linea educativa dei genitori. La supervisione genitoriale, e delle prime autorità che il ragazzo incontra sul suo percorso di crescita (come insegnanti ed educatori), sta divenendo molto strutturata e, in diversi casi, al quanto rigida. Questa crescita di attenzione esponenziale verso le esperienze del bambino presenta due risvolti negativi possibili: un aumento di stress da parte dei figli, i quali sono portati ad organizzare il loro tempo in modalità che non lasciano spazio alla spensieratezza infantile e, in secondo luogo, questa supervisione forsennata ha come conseguenza la formazione di adulti con una minore capacità di discernere e di ragionare con la propria testa. Questo tipo di genitorialità viene definita come intensiva ed è una pratica molto diffusa negli Stati Uniti ma che, negli ultimi anni, sta prendendo piede anche in Europa. In diversi casi, le figure materne e paterne, organizzano la giornata dei propri figli, inserendosi all’interno di molte attività extrascolastiche. Questo tipo di genitorialità non si limita ad un piccolo sottoinsieme ma è molto comune, soprattutto in America, dove è divenuta il modello culturale dominante. Anche in Europa, tuttavia, questa tendenza intensiva sta “riscuotendo molto successo”: secondo uno studio del 2016, condotto da accademici americani ed italiani, le madri europee passano un’ora in più al giorno con i propri figli, rispetto al 1965, mentre i padri sono passati da un tempo medio di sedici minuti a un tempo di 59 minuti al giorno nel 2012.
Nella nostra epoca, durante la quale il tasso di natalità è molto basso e l’aspettativa di vita è elevata, i bambini tendono a passare molto del loro tempo assieme alle figure genitoriali e questo provoca una minore spinta verso l’indipendenza e un rallentamento nel processo di maturazione. Queste due dinamiche hanno dei risvolti decisamente negativi sulla vita dei giovani adulti, i quali spesso non si sentono pronti per intraprendere una carriera universitaria lontani da casa oppure non riescono a mantenere un lavoro stabile in quanto non sono preparati a vivere in modo indipendente. La quarantena ha portato ad un aumento di casi di questo tipo, i giovani si sono trovati a dover passare tutta la giornata a casa e, se da una parte, questo può aver solidificato i rapporti famigliari, dall’altra, ha creato molte situazioni di dipendenza morbosa e nociva. In più, la pandemia, non ha permesso a molti di partire per viaggi di lavoro oppure di cambiare città per studiare e questo, chiaramente, ha peggiorato la situazione.
Il mondo digitale non controllato e la genitorialità intensiva stanno portando molti bambini, e adulti, a non sviluppare un senso di indipendenza adeguato per il mondo che li aspetta e questo sta ritardando il processo di maturazione di molte persone. sempre più giovani si stanno trovando a non avere solide fondamenta su cui camminare con le proprie gambe e continuano, di conseguenza, a richiedere l’aiuto famigliare: i nuovi bambini divengono grandi dopo, purtroppo, molto dopo.