La Guerra Fredda è alle porte. O meglio, non è mai finita. La Russia è tornata al centro della scena mondiale con un gesto barbaro e al limite dell’immaginabile, iniziando la prima guerra in Europa dopo ottant’anni. Cos’è, però, la Guerra Fredda? È giusto indicare questo arco di tempo utilizzando questo termine? Proviamo a rispondere a queste domande servendosi – anche – dell’aiuto di Mireno Berrettini, professore e ricercatore di Storia delle Relazioni Internazionali, il quale in uno dei suoi ultimi libri, “Verso un nuovo equilibrio globale. Le relazioni internazionali in prospettiva storica” , fornisce una particolare analisi di cos’è stata la Guerra Fredda e le sue determinanti.
Prendiamo la definizione di “Guerra Fredda” del Cambridge Dictionary: essa è uno “stato di estrema inimicizia tra due Stati, specialmente Stati con due sistemi politici opposti, che combattono non attraverso la guerra ma con pressioni politiche e minacce”. È una definizione chiaramente semplificatoria di quella che è stata la realtà storica dei decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Questa imprecisione è la dimostrazione di un periodo di tempo molto ambiguo, difficile da collocare e, di conseguenza, dalla complicata interpretazione. Per esempio, se vi chiedessi: quando finisce la Guerra Fredda? L’indecisione appena descritta si riversa anche nelle risposte, tipicamente due, in base al significato storico-interpretativo che gli assegniamo. O la Guerra Fredda è terminata nel 1989 con il crollo del Muro di Berlino, una visione eurocentrica che mostra come la Guerra Fredda sia una lotta per la definizione degli assetti del dopoguerra nel Vecchio Continente e che quindi non necessità della presenza di due Superpotenze. Oppure termina nel 1991, una visione sovietico-centrica che, a differenza della prima, è una vera e propria lotta per l’egemonia e che richiede quindi l’assunzione dei concetti di “Superpotenze”. Riprendiamo, però, la definizione del Cambridge Dictionary: uno scontro che finisce quando tensioni politiche e minacce vengono meno. Seguendo questi termini, le due risposte date in precedenza sono entrambe errate, dato che la fine delle tensioni tra URSS e Occidente si conclusero addirittura nel 1987 (in particolare con l’“Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty”).
Concluso e dimostrato una netta ambiguità nella definizione di “Guerra Fredda”, possiamo dunque affermare come essa assuma la forma della metonimia, secondo in particolare un concetto di “semplificazione bipolare”: essa è una figura retorica in cui una cosa o un concetto viene indicato con il nome di qualcosa strettamente associato a quella cosa o concetto; per fare un esempio, quando indichiamo con “Auschwitz” tutto il fenomeno dell’Olocausto. Lo stesso Mireno Berrettini, intitola il capitolo nel suo libro relativo a questo periodo di tempo come: “Guardando la foresta e non solo l’albero: la Guerra Fredda in prospettiva globale”. Quello che vogliamo evidenziare (così come anche il professore) è come la Guerra Fredda indichi un periodo di bipolarità tra due Potenze, uno scontro ideologico tra due poli, ma che definisce incondizionatamente tutto il mondo. Viene quindi meno la possibilità di esserci un “Resto”, qualcosa di differente dal sistema della NATO o da quello sovietico: qualcuno conosce la situazione geopolitica dell’America Latina all’infuori di Cuba? Oppure, medesima cosa per quanto riguarda l’Asia, differente dal Vietnam o dalla Corea? Avviene quindi una semplificazione, un centrare tutte le dinamiche – interne o esterne che siano – agli avvenimenti legati al Centro, ai due poli in battaglia.
Le periferie sono considerate solo quando scaricano le tensioni diplomatiche sul nucleo del sistema. Prendiamo l’attuale guerra in Ucraina. Chiaramente: chi si è mai interessato dell’Est Europa, delle tensioni tra Mosca e Kiev o delle esercitazioni militari della NATO per tutto il 2021 lungo i confini russi. L’attenzione alle periferie torna solo in casi drammatici, come la guerra in Crimea o nell’invasione Ucraina. E questo processo di “dare attenzione” a solamente quei fatti che – economicamente, socialmente o politicamente – ci riguardano avviene costantemente non solo per l’Europa orientale. L’Africa è un esempio di Continente dimenticato, ignorato perché lontano da noi: “Non succede nulla che ci riguarda”, potremmo dire. L’Afghanistan è ritornato sui giornali solo con l’abbandono delle truppe americane dopo vent’anni di scontro. Il Mali è stato solamente accennato quando la Francia ha abbandonato le operazioni di supporto. E lo stesso discorso per molti altri Stati.
La Guerra Fredda è un “dispositivo foucaultiano”, una “griglia ermeneutica che abbiamo bisogno di leggere e per organizzare il mondo. Dal momento in cui è diventato egemonico (quindi pochi anni dopo la fine della Guerra Mondiale, nel 1947) siamo stati inconsapevolmente portati a vedere la realtà attraverso quelle lenti”. La Guerra Fredda è diventata un passaggio non più escludibile da noi Occidentali, un’iperbole, un passaggio – ovviamente esagerato – che ha segnato un cambiamento radicale verso un nuovo mondo. Tutto ciò per dimostrare come tutto ciò che “non ci tocca” viene automaticamente ignorato ed eliminato. Non esiste, però, solo l’Europa. Solo l’America. Volgarmente, non esistiamo solo noi. Il “mondo esterno” va avanti anche se non ci giungono sue notizie, se non leggiamo il suo nome sul giornale o se non viene annunciato alla televisione. Non possiamo, di punto in bianco, decidere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, con chi schierarci o contro chi andare, senza conoscere o aver ignorato per anni o decenni un Paese o un territorio. Non siamo “Il Tutto”. E non possiamo aprire gli occhi solo quando ci risulta comodo o quando il nostro “orticello” viene attaccato.