La “Grande Mela”, come è stata definita dal cronista sportivo John J. Fitz Gerald, viene descritta spesso come la città dei sogni, dove “l’American Dream” può essere veramente realizzato. Tuttavia, quest’aura di bellezza e fascino non è sempre stata caratteristica di New York e il luogo dove meno si percepiva la grandezza della città era il Bronx.
Tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso questo iconico quartiere stava vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia: i prezzi delle abitazioni erano scesi di netto dopo la diaspora dei lavoratori avvenuta alla fine del 1960. Nessuno voleva investire nel mercato immobiliare di questa zona e molti, per paura che il valore delle proprie abitazioni calasse troppo, assoldarono piromani e delinquenti con il fine di dare fuoco alle proprie case in modo da intascare almeno i soldi dell’assicurazione. Secondo i dati statistici ufficiali, più del 40% degli immobili fu avvolto dalle fiamme. Vi erano intere zone distrutte, e più che la fantastica città che vediamo oggi nei film e nelle serie TV, sembrava di essere in un vero e proprio quartiere in guerra. Oltre al problema del deprezzamento, vi era anche quello delle cosiddette “gang”, bande di ragazzi e ragazze che si spartivano la gestione di strade e bar, in un momento di totale anarchia. Il Bronx negli anni ’70 era un vero e proprio campo di battaglia, dove ragazzi di ogni età, con diversi stili di vita e ideologie, si ritrovavano a “combattere” vere e proprie guerre territoriali, in un luogo privo di gestione statale e colmo di instabilità economica.
È all’interno di questo panorama che nacque, al 1520 di Sedgwick Avenue, quello che noi tutti conosciamo come “Hip Hop”. L’undici agosto del 1973, in un classico condominio del West Bronx, situato a pochi metri dal Washington Bridge, ebbe inizio, quasi per caso, una rivoluzione sociale, culturale e intellettuale. La famiglia Campbell, proveniente dalla Giamaica, aveva affittato il primo piano del palazzo al 1520 per dare una festa: il prezzo da pagare era di 50 centesimi per gli uomini e di 25 per le donne. Il party fu organizzato per permettere a Cindy Campbell, di acquistare qualche vestito con il quale affrontare il nuovo anno scolastico ma ben presto divenne la culla della cultura Rap. Il fratello di Cindy si chiamava Clive Campbell, ma in zona era conosciuto come Dj Kool Herc e il padre dei due ragazzi decise di far suonare suo figlio alla festa. Il ragazzo era cresciuto in sale da ballo nelle quali si suonava musica tipica giamaicana e notò, in questi luoghi, come il momento in cui la massa di ballerini si esaltava maggiormente era quello in cui entravano nel brano le percussioni e i bassi: la “pausa”.
L’undici agosto si tenne la festa: “A Dj Kool Herc Party” e Clive Campbell si presentò con un Mixer e due piatti sui quali venivano riprodotte due copie del medesimo disco e fa quello che ha imparato nelle sale da ballo: isola i “breaks”, ovvero i bassi e le percussioni, utilizzando poi la tecnica della giostra: tagliare da break a break nel momento culmine della canzone. Questa, che a noi sembra una semplice accortezza musicale, è in realtà una rivoluzione, qualcosa di mai sentito prima, che viene accompagnato da un nuovo genere: il Rap. La novità introdotta da Clive attirò l’attenzione di artisti del calibro di Africa Bambaataa e Grandmaster Flash, nomi importanti del panorama Urban Americano, che grazie all’innovazione di Clive hanno dato vita ad un nuovo genere musicale.
Una semplice festa organizzata per una bambina del West Bronx ha dato vita ad un nuovo movimento culturale, che da cinquant’anni a questa parte accompagna ragazzi e ragazze di tutte le età, dando sfogo ad emozioni che nessun altro genere aveva mai osato esprimere in modo così netto. E come Steve Jobs ha dato vita alla sua azienda in un garage, così anche l’Hip Hop è nato in un condominio, ad un party dove si chiedeva di pagare minimo 25 centesimi.