Dal Mar Bianco al Mar Nero. Dal Baltico al Caspio. Una pianura sconfinata in cui “un viaggiatore non incontrerà alcuna altura di rilievo, né noterà alcuna netta differenza”, secondo le parole di Vittorio Strada (‘La questione russa. Identità e destino’, 1991). E fu proprio questa “uniformità”, “omogeneità” delle forme naturali che andrà a condizionare la corrispettiva uniformità delle occupazioni, delle credenze e dell’unità statale. Atteggiamento e cultura che verranno definite all’interno del complesso movimento intellettuale del cosmismo russo.
Il cosmismo russo di Nikolai Fyodorov
Alla fine del XIX secolo, il pensatore russo Nikolai Fyodorov (1829-1903) difendeva una filosofia della scienza profondamente morale e cristiana. In particolare, immaginava che l’umanità potesse impiegare il progresso tecnologico per raggiungere la salvezza universale. Non è, per esempio, un semplice sfruttare le nuove invenzioni per un miglioramento della propria condizione “da cristiano”; il cosmismo russo aveva ben altri interessi, anche oggi considerati dai più addirittura fantascientifici: resuscitare gli antenati, raggiungere l’immortalità, trasformare la natura umana verso la sua deificazione e, infine, conquistare e regolare il cosmo.
Il cosmismo russo (termine coniato negli anni Settanta da un gruppo di intellettuali sovietici), perciò, non solo si contrappose alla stessa ideologia comunista ufficiale, ma suscitò enorme interesse tra gli accademici e i membri di alto rango dell’establishment dell’URSS. Conquista dello spazio, battaglia ideologica contro l’invasore occidentale e pretesa di innovazione tecnologica continua furono le basi che caratterizzarono l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda; idee e pensieri completamente adiacenti ai dettami “fantascientifici” del cosmismo.
Il cosmismo russo è un mondo di nomadi
“Guardatevi attorno. Si può davvero dire che vi sia qui qualcosa di saldo, che sia impiantato in modo stabile? Mi sembra al contrario, che si possa affermare che tutto sia in perenne movimento” (Pëtr Jakovlevič Čaadaev, ‘Raccolta completa delle opere e lettere scelte’ 1991). Ritorniamo alla vastità e l’uniformità descritta all’inizio dell’articolo; la mancanza di quelle catene montuose la cui presenza ha facilitato la divisione dell’Occidente europeo in numerosi stati. Tutti elementi caratteristici dell’immenso, piatto, infinito territorio russo: proprio questa “mancanza ambientale” ha dato vita alla possibilità di determinare uno Stato senza precedenti per grandezza e, soprattutto, per piattezza. E in questo spazio omogeneo l’uomo si è abituato a muoversi con estrema facilità e frequenza, spostandosi da una parte all’altra, dipendente dalle condizioni climatiche o dai momenti storici. Un vero e proprio nomade. Questa consuetudine a una vita priva di radici e nomadica è uno dei tratti distintivi più caratteristici del popolo russo e della sua anima, descritto a pieno nuovamente da Čaadaev: “Non c’è niente di saldo, niente di costante; tutto fluisce e scorre, tutto si dilegua, senza lasciare tracce né all’esterno, né dentro di voi”.
Il russo è nomade. Privo di radici, senza luogo stabile in cui fermarsi o tornare. Sempre spinto “altrove”. Il nomadismo russo – così come lo definisce lo stesso Čaadaev – è perciò una condizione dello spirito, un’irrequietezza che deriva proprio dall’esperienza di uno spazio omogeneo e indifferenziato. Nella sua immensità territoriale, il russo non vede e non sente confini, non si sente legato ad un territorio; e quando oppresso o circondato ha un unica soluzione: scappare altrove, conquistando nuovi spazi.
Nomadi anche oggi
Ancora oggi il cosmismo è presente all’interno delle grandi menti del globo (pensiamo per esempio alla pretesa di Elon Musk di conquista dello spazio e del Pianeta Rosso; o il grande obiettivo di ringiovanimento attraverso le trasfusioni di sangue portate avanti dal miliardario Peter Thiel). Ma, soprattutto, il cosmismo russo è ancora fonte di ispirazione per gli ideologi alla ricerca di un’idea nazionale per la Russia post-sovietica. Due esempi dimostrano quest’ultima tesi.
La prima è il think thank conservatore Izborsky Club, un gruppo di cinquanta accademici, giornalisti, politici, imprenditori, ecclesiastici ed ex miliari estremamente vicini al potere della Duma e fondato nel 2012. Sostenuto in parte dai finanziamenti forniti dall’amministrazione presidenziale, il club mira a definire un’ideologia per lo stato russo e considera la scienza come un campo di battaglia ideologico all’interno del quale la Russia deve opporre la propria “mitologia tecnocratica” al modello di sviluppo occidentale. Di conseguenza, il transumanesimo – visto dall’Izborsky Club come cardine della società occidentale – è l’erede logico del progressismo evolutivo, volto a emancipare l’individuo dai vincoli della natura umana attraverso la loro ibridazione con la macchina. Al contrario, il cosmismo russo viene descritto come una ricerca escatologica della spiritualizzazione dell’umanità, guidata da un’interpretazione letterale delle promesse bibliche della risurrezione.
Infine, il secondo esempio è individuabile nell’attuale guerra in Ucraina e nel significato che l’élite russa al comando consegna a tale scontro. Ovviamente non stiamo affermando che l’invasione cominciata oltre un anno fa sia qualcosa dettata da qualche ispirazione filosofica. La reazione russa, secondo le spesso affermate parole dell’entourage di Putin, è stata conseguenza dell’invasione occidentale, di una pressione territoriale della NATO nei confronti dell’ex territorio sovietico. Nomadi, oppressi, senza punti di riferimento, l’invasione e la guerra russa contro l’Ucraina potrebbe anche essere stata dettata dai valori e principi alla base del cosmismo russo di Nikolai Fyodorov.