Sempre più persone stanno invadendo le strade di Nuova Delhi, allo scopo di manifestare un crimine come quello dello stupro coniugale per molti non più accettabile nel secondo Paese più popoloso del mondo. Il dibattito nelle strade è altamente infiammabile, scontrandosi con un governo ancora patriarcale e non completamente convinto del cambiamento. Il fenomeno dello stupro in India è molto diffuso e ogni giorno centinaia di minorenni vengono abusati da adulti; quello dello stupro coniugale è, però, un fenomeno ancora più esteso, presente nella maggior parte delle famiglie e una possibilità legale per uomini che vedono le proprie mogli solamente come un “oggetto”.
Lo stupro coniugale si riferisce al contatto sessuale forzato tra i coniugi, un tema fino a non molti anni fa ancora frainteso e in molti Stati non ancora criminalizzato. Fino al XX secolo, questo fenomeno per le legislature di quasi tutti i Paesi del globo non poteva esistere: considerando storicamente le donne come proprietà piuttosto che come individui, non aveva senso per i governi impedire ad un uomo di soddisfare sessualmente i propri bisogni. Come nel caso dell’India oggi – e di molti altri Stati – il corpo delle donne, una volta sposate, apparteneva totalmente al marito, senza possibilità di rifiuto.
Solo nel XX secolo, con i forti movimenti per i diritti delle donne, questa convinzione patriarcale iniziò a cambiare, sostenendo sempre più che il matrimonio non poteva diminuire materialmente i diritti individuali di una delle due parti; il contatto sessuale forzato, perciò, doveva essere riconosciuto come stupro, indipendentemente dallo stato civile. In Italia, questo passaggio, avvenne solo nel 1981: quattro decenni ci separano quindi da un mondo in cui un uomo, per evitare il carcere dopo l’abuso, poteva ricorrere al cosiddetto “matrimonio riparatore”, ovvero lo sposare la vittima e rendendola di proprietà personale.
Il conservatorismo indiano è ancora forte nel Paese e molte donne soffrono ancora questi atti di violenza sessuale, senza poter far valere alcun tipo di diritto essendo considerate semplici oggetti di sfogo maschile. L’indiano medio, secondo i sacri vincoli religiosi, ci si aspetta rimanga vergine fino al matrimonio, obbligato a disprezzare fino a quel momento ogni tipo di atto sessuale. Sarà quindi facile pensare il matrimonio come un “pass” verso la libertà sessuale, per sfogare le proprie trattenute pulsioni: il passaggio successivo di arrivare alla nozione “moglie – oggetto personale” sarà quasi scontato e immediato per molti uomini. Il matrimonio è quindi una cortina di ferro disponibile per mascherare lo stupro coniugale, un gesto per tutte le tradizioni “sacro” ma che nasconde dietro sé molte donne psicologicamente e fisicamente massacrate.
Solo nel 2022, il 12 gennaio, l’argomento è emerso durante un appello all’Alta Corte di Delhi, presentato da molti movimenti sociali che combattono nel territorio. Le attuali disposizioni sullo stupro, nella sezione 375 del codice penale indiano (risalenti al 1860), sono tanto macabre quanto difficili da cambiare: “il rapporto sessuale di un uomo con la propria moglie, se la moglie ha più di quindici anni, non costituisce stupro”, afferma così la legge, ovviamente incostituzionale e contraria ai diritti fondamentali delle donne secondo le associazioni. Il caso, però, ha ovviamente trovato riscontro molto negativo dalla gran parte del mondo maschile indiano: secondo tanti, il riconoscimento dello stupro coniugale trasformerebbe i mariti in “stupratori”, facendo venir meno tutto il sacro istituto della famiglia e del matrimonio.
Nonostante i progressi, la situazione delle donne in India rimane difficile. Rimangono ancora sottomesse al marito e considerate un peso per la famiglia, molto spesso per il problema della dote (seppur sia una pratica vietata dal 1961). Un sondaggio della Thomson Reuters Foundation del 2018, classificò l’India come lo Stato più pericoloso del mondo per le donne, di fronte anche a Paesi come Afghanistan o Siria. Una medaglia d’oro sicuramente non di cui vantarsi, una vittoria che ha come premio semplicemente quello di rendere invivibile la vita di più di 700 milioni di donne che attualmente abitano il territorio.