Le origini della Mafia, parte III: la Mafia e il Fascismo

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L’inserimento nella politica del fenomeno mafioso, abbiamo detto nello scorso articolo, porta a gravi problemi e decisioni errate da parte del governo centrale. Un governo che, prima e dopo la Grande Guerra, iniziò pressioni riformiste sia da parte dei cattolici che dei socialisti, allo scopo di fronteggiare e smantellare il grande sistema latifondista siciliano. Fu così che la Mafia si vide costretta ad unirsi al sistema politico che più si avvicinava agli stessi suoi ideali, un movimento nuovo e dai toni totalitari che vedeva come esponente il Duce Benito Mussolini. L’unione al Fascismo attraverserà due fasi diverse: una prima posizione di sfruttamento del partito fascista per l’ottenimento di maggiori voti e consensi per l’ascesa al potere e un secondo periodo, invece, molto più ambiguo, con storici che si dividono sul considerare la Mafia come scomparsa o come inglobata da Mussolini. 

Fascismo e Mafia si legano perfettamente. Hanno un denominatore culturale comune: entrambi non amano la democrazia e si considerano un movimento di salvezza per una classe, o un intero Paese, inserita in un sistema corrotto e contro l’innalzamento del nazionalismo italiano. Essi si incontrano nella pratica, considerando la democrazia un guscio formale da svuotare e sostituire con qualcosa di meglio; entrambi utilizzando la minaccia e la violenza. Usano le stesse tecniche di imposizione decisionale: limitazione della libertà di opinione e olio di ricino agli obiettori, imponendo alla società un regime del Terrore da far invidia a Robespierre. Odiano il comunismo e i sindacati, ciò che è diverso e “non italiano”. Sono quasi due sosia. È quindi questa una linea di pensiero che vede Fascismo e Mafia allinearsi durante il ventennio di sopravvivenza del primo, due sistemi che si fecero forza a vicenda e che permisero di innalzare la penisola italiana come grande player del mondo globale, al pari delle altre Grandi Potenze.

C’è però un grave problema nell’analisi appena descritta, ignorante di un fatto essenziale: sono entrambi poteri totalitari. In qualsiasi sistema politico (essendo la Mafia un agente politico a tutti gli effetti), la convivenza di due poteri autocratici è impossibile e chiara sarà la guerra per ottenere il potere. Ed è qui che entra in gioco la seconda linea di pensiero: il Fascismo, essendo “accettato” dal popolo, ha maggiori spazi di libertà e azione per poter eliminare il problema mafioso dalla penisola, vincere la battaglia del più forte e annullare un fenomeno (come lui stesso) criminale. Ci può essere solo un grande crudele in uno Stato. “Voscenza, signor capitano… è sotto la mia protezione. Che bisogno aveva di tanti sbirri che si è portato dietro”, così don Francesco Cuccia, capo-mafia e sindaco di Piana dei Greci, con un tono di amichevole rimprovero e complicità, riempie di furore Mussolini, il 6 maggio 1924, durante il suo primo viaggio in Sicilia. “Qui sono tutti in combriccola”, confida il Duce al suo segretario Chiavolini. “Come mi muovo sento puzza di mafia”. Sentimenti di orrore, odio e sfida sono quelli che Mussolini comunica in questo dialogo, vedendo un illegittimo avversario provare a bloccare il suo percorso di trasformazione societaria. 

Indicativa divenne quindi la storia di Cesare Mori, convocato dal generale Emilio De Bono dopo che il Duce gli chiese una persona adatta a ricoprire il ruolo di debellatore della Mafia. Nonostante sulla lista nera fascista per aver contrastato le delle squadre fasciste di Balbo e Arpinati durante il suo periodo di questore a Bologna, il cinquantenne lombardo si reca in Sicilia, imponendo il pugno di ferro al sistema mafioso. “Il vero colpo mortale alla mafia lo darei quando ci verrà consentito di rastrellare non soltanto fra i fichi d’India, ma negli ambulacri delle prefetture, questure e, perchè no, di qualche Ministero”: Mori attende, ansioso, di compiere il suo vero attacco alla Mafia. E Mussolini stesso gli porge sulle mani l’offerta perfetta, consegnando poteri pieni e illimitati a Mori, “carta bianca” su come affrontare il sistema mafioso. Inizia così la grande spedizione fascista nel Sud Italia, annullando totalmente il nemico mafioso dal territorio e da tutta la penisola.

Questa breve rubrica ha mostrato l’origine di un fenomeno ancora presente in Italia, che nel corso del XX ha assunto ancora più potere ed entrando con sempre più prepotenza nella politica italiana. È un fenomeno culturale, originariamente incentrato su valori e problemi concreti, lontani dall’aspetto economico e con la pretesa di maggiore libertà da parte di un governo sempre lontano e autocratico. Come combattere la Mafia è una domanda, ancora, senza risposta; è un fenomeno non legale, e questa è la sua forza: riuscire a “sgusciare” e “rinascere” sempre e comunque al di là della forza governativa che è al comando, annullato solo nel periodo più tragico della storia italiana.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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