La presunzione del sapere

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Negli ultimi anni le distanze tra figli e genitori stanno via via aumentando, creando un’assenza di dialogo che se osservata risulta struggente. La psicologia mostra come le relazioni genitori figli possono essere tutt’altro che armoniose, compromettendo spesso una crescita responsabile e razionale nella vita dei ragazzi. Nasce così un conflitto tra genitori e figli che sfocia su larga scala in un conflitto generazionale.

La risposta al problema è racchiusa in questo conflitto, capace anche di produrre una reazione positiva nella vita dei giovani solo se il rifiuto e il fallimento che i genitori trasferiscono nel ragazzo viene trasformato in una energia propositiva, alla ricerca di un riscatto personale volto a raggiungere la consapevolezza delle proprie qualità. Il conflitto genera confronto ed è da quel confronto che un ragazzo si avvicina consapevolmente o inconsapevolmente ad un’osservazione critica dei propri comportamenti; non è immaginabile che un giovane da solo riesca a comprendere qualsiasi aspetto problematico incontri sul suo cammino, ma ciò che potrebbe agevolarlo sono gli strumenti consegnati dai suoi educatori. Non c’è un metodo scritto con cui educare un figlio, ma di certo possiamo affermare che se gli educatori vengono considerati i nemici naturali da chi deve essere educato è il caso di porsi delle domande serie.

Voliamo nel cinema, nel film Will Hunting – “Genio ribelle”. Matt Damon interpreta un ragazzo geniale e dal potenziale inespresso che, arrivando dal ghetto, ha una scarsa propensione verso l’educazione sociale. Finché un giorno, un professore di Harvard, accorgendosi del suo potenziale, decide di aiutarlo mandandolo a colloquio da uno psicologo (Sean), nonché suo vecchio amico. Il primo appuntamento tra i due non prende la giusta piega: Will, infatti, cerca di dissuadere il dottore con le sue tecniche deduttive e le sue conoscenze fuori dal comune, arrivando ad essere letteralmente appeso al muro e venendo buttato fuori dallo studio. A seguito di questo colloquio il dottore, interpretato da Robin Williams, passa una notte insonne pensando a quel ragazzo e se ne valesse la pena dargli un’altra possibilità, per decidere infine di rivederlo una seconda volta. 

In questo incontro le cose non vanno esattamente come Will vorrebbe: Sean infatti inizia a parlare e dalla sua bocca escono esattamente queste parole: Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il Papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto […] Perché, sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo… vero, campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. … A te la mossa, capo”.

I giovani d’oggi si trovano esattamente nella situazione di Will: molti di loro hanno menti geniali e con un potenziale altissimo ma non riescono ad esprimerlo e finiscono per dimenticarsi delle loro qualità; si sentono terrorizzati dalla figura adulta, vogliono distruggerla e non sentono il bisogno e la necessità di poter apprendere tramite l’esperienza del genitore aspetti formativi. Dall’altra parte, chi vuole veramente conoscere il mondo interiore del proprio figlio, quella parte intima in cui risiedono sogni, ambizioni, insicurezze, amore, valori?

E’ difficile educare una generazione che ha un alto potenziale solamente dicendogli di andare a lavorare o giudicando le loro azioni spietatamente. La presunzione è duplice: i genitori credono che i figli stiano fuori dalla realtà e non si fidano di loro, mentre i ragazzi ritengono che i loro genitori, più che un supporto, siano “dinosauri” che stanno aspettando il meteorite che li travolga. La guerra della presunzione non ha portato ad una società capace di creare un nuovo universo di relazioni familiari. 

Will non aveva nient’altro che paura di un mondo che potesse creargli problemi, dubbi, emozioni mai vissute prima, di essere chi era destinato ad essere. Grazie a Sean ha capito come la vera conoscenza è esperienziale, l’amore è pericoloso, le amicizie sono preziose, la competizione è sfrenata. Solo sentendo queste sensazioni e provandole fisicamente si fortifica il carattere di un essere umano: pensate alle camerette in cui si rinchiudono i ragazzi adesso per sospendersi da una realtà che ritengono scontata e senza opportunità cercando di connettersi ad altre persone con i più disparati mezzi digitali. Mai come ora, Will sarebbe un ragazzo chiuso nella sua stanza, sicuro che nessuno lo possa ferire o possa smuoverlo. Serve, però, qualcuno che faccia alzare i ragazzi dalle proprie scrivanie e camminando insieme a loro li renda consapevoli delle opportunità che la realtà ti offre tutti i giorni.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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