Le origini della Mafia, parte I: un fenomeno sociale

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Questa breve rubrica di tre articoli ha lo scopo di analizzare la nascita del fenomeno mafioso, evento sociale che tutt’oggi influenza non solo la nostra nazione, ma anche molti altri Paesi asiatici e americani. In questo primo articolo andremo ad analizzare l’etimologia del termine “mafia”, il suo sviluppo sociale e il sentimento di sfiducia popolare nei confronti dei “sovrani” piemontesi, portando alla ribellione e atti violenti per opporsi alla legislazione. 

Il fenomeno della “Mafia” nasce e si impone nell’Italia ottocentesca, inizialmente come un’assenza di sfiducia verso le autorità piemontesi a capo dell’unificazione per poi affiancarsi alla politica. È un “sintomo” esclusivamente “made in Italy” che, come un virus, si è espanso a macchia d’olio in tutti i continenti del mondo e, per molti, qualcosa di cui andare fieri. In principio, però, al di là degli sviluppi contemporanei, è stato uno degli snodi critici della nostra penisola, in particolare durante il periodo di unificazione. Il termine “mafia” ha origini diverse, significati contrapposti e di difficile origine, proprio come il fenomeno in sé. Seppur sempre più abbandonata, l’etimologia di questa parola proviene dall’arabo “mo’afiah”, tracotanza, arroganza, prevaricazione di qualcuno o qualcosa. Mentre in Italia, la comparsa del termine è più o meno coeva a quella di camorra, esposto originariamente dal testo teatrale di Giuseppe Rizzotto, “I mafiusi di la Vicaria di Palermu” (1863). Ha quindi, in entrambi i significati, un’accezione negativa, comportamenti fuorilegge e del comune utilizzo della forza e della violenza fisica per l’imposizione degli ordini. Stessa descrizione venne lasciata nel 1865 da Filippo Antonio Gualterio, prefetto di Palermo, che descriverà la mafia come piccole associazioni segrete rette dall’omertà e dalla segretezza. 

Da prima del Medioevo all’unificazione, in Sicilia sono giunti, oltre i Greci e i Romani, Vandali, Ostrogoti e tre secoli e mezzo di dominazione bizantina, dalla seconda metà del VI secolo al IX secolo. La terra sicula è sempre stata soggetta a dominio e giurisdizione estera, suolo di conquista di popoli lontani che hanno imposto la loro autorità e cultura. Mai l’isola ebbe una propria indipendenza culturale; mai riuscì a staccarsi dal controllo giuridico-istituzionale di un’altra nazione e cultura. E così avvenne anche durante il periodo di unificazione: il Piemonte, o Regno di Sardegna, impose la sua forza militare con lo scopo di centralizzare tutta la penisola verso un’unica capitale (inizialmente Torino), nucleo delle decisioni di tutto il Paese. Sarà quindi una “aggregazione” centralizzata, autoritaria e militare, molto simile a quella che per secoli ha subito la Sicilia dagli altri popoli stranieri. Si verrà quindi a determinare un sentimento di sfiducia nei confronti del dominio piemontese, avvertito come lontano e distaccato dalla cultura sicula. A tal proposito, i fattori economici diverranno centrali per lo sviluppo e l’imposizione del sistema mafioso, un territorio feudale, ancora completamente basato sull’agricoltura e lontano dalla forte urbanizzazione che il nord stava assistendo. Troviamo ancora una logica medioevale, con proprietari terrieri assenti dai propri possedimenti e contadini impegnati a soddisfare le richieste lussuose dei propri “capi”; in mezzo, come intermediario, si verrà a formare la figura del “gabellotto”, affittuario del terreno (la “gabella”) e unica forma di potere e rispetto a cui i contadini dovranno sottostare. 

La mafia, quindi, nasce e si sviluppa innanzitutto come un fenomeno sociale, un sentimento di odio e ribellione verso un nemico che, nuovamente, vuole provare a entrare nei propri affari. L’origine del fenomeno coincide quindi come un tentativo di sovrapposizione statale – quella piemontese e basata sul monopolio della forza fisica legittima – ad una realtà completamente opposta, ancora feudale-medioevale e basata sull’onore e solidarietà reciproca. È la cosiddetta questione della “doppia morale”: da un lato un sistema burocratico e statale ancora debole in quei territori e dall’altro un nuovo agire subculturale, con riferimento all’impiego della coercizione e del rispetto. 

La mafia si inserirà quindi in un contesto di incertezza, assenza di stabilità politico-sociale, una penisola spaccata in due con un tentativo di regolamentazione statale inaccettabile per un Sud antiquato e sprezzante nei confronti di una ennesima imposizione giuridica. Persone e gruppi, i mafiosi, diventeranno il garante della sicurezza dei contadini, l’agente di polizia dei territori e la legge da dover rispettare e chiedere aiuto in caso di difficoltà.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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