Long Covid: chi vive ancora nella pandemia

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Oramai la pandemia è ricordo di un passato lontano: discoteche, feste, partite sportive o profonde strette di mano. La vita sembra essere tornata alla normalità. Con sicuramente meno soldi, ma comunque alla normalità. Non ci sono più restrizioni, tamponi o obblighi di mascherina nei luoghi chiusi; nessuna più quarantena o distanze da mantenere. In questo articolo, però, vogliamo narrare la storia di alcune persone che tutt’ora vivono nella pandemia, una situazione di malessere ancora attuale proprio come tre anni fa. Se non peggio: sì perché a fronte di tutto il mondo che si risveglia da quasi tre anni di paura, molte persone sono ancora costrette ancora a vivere quotidianamente con i sintomi del Covid-19.

In particolare, parleremo del cosiddetto Long Covid, quella sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di alcuni sintomi legati all’infezione da SARS-CoV-2, che insorgono o persistono per settimane, mesi o addirittura anni dopo la guarigione dal virus. I sintomi sono svariati: estrema stanchezza, mancanza di respiro, dolori muscolari, “nebbia del cervello”, oppressione al petto e, spesso, depressione. Nel seguente articolo, più che concentrarsi su cos’è effettivamente il Long Covid (di cui ne sono affette oltre sessanta milioni di persone in tutto il globo e la metà di queste solo in Europa), narreremo storie di persone che vivono con questo enorme disagio, molto spesso non ascoltati e lasciati da soli a vivere tre anni indietro rispetto al resto del mondo.

 

Il Long Covid di Marta Esperti

Marta Esperti, 34 anni. Ad Adnkronos Salute mostra sullo schermo del suo cellulare il fermo immagine di un polmone “spento”. Per la giovane ragazza significa molte cose: sia il ricordo di un momento di ostaggio della sua vita, ma soprattutto qualcosa che rappresenta la sua attuale situazione di malessere causata, appunto, dal Long Covid. Marta conobbe l’ospedale in piena crisi pandemica, sperimentando l’ormai nota “tempesta di citochine” che uccideva centinaia di persone quando ancora non si sapeva come affrontarla; ha conosciuto di conseguenza anche la “fame d’aria” e la necessità di ricevere ossigeno da un macchinario. Da quel momento in poi la sua vita è cambiata; ma a differenza di molti che qualche mese dopo hanno ripreso la loro vita quotidiana, quella di Marta non è più tornata.

Prima del Covid era una donna in costante movimento: “Lavoravo. Ero dottoranda e insegnavo scienze politiche in due università, Paris Sorbonne e Lille. Avevo una vita piena e attiva. Ero anche stata ricercatrice invitata ad Oxford”, racconta la giovane, la quale ha dovuto interrompere la sua carriera all’arrivo dello “tsunami pandemico”. E la visione di una vita accademicamente ricca e importante, si è oggi sostituita con una profonda difficoltà economica: “Il dottorato non l’ho ancora finito, perché mi sono riammalata altre due volte nel 2022. E ora chiudere il dottorato per me è fondamentale per tornare ad avere dei nuovi contratti. Io non ho mollato, ma nell’attesa di finire il dottorato devo trovare altre soluzioni per vivere con un’entrata che si è ridotta a 640 euro al mese, poco più della metà del mio affitto”.

Marta Esperti è una delle tante vittime in Italia di Long Covid, nascoste o in difficoltà nel trovare una cura efficiente. Ritmi lavorativi alti, lunghi discorsi o conferenze non sono più possibili, eliminati dalle difficoltà respiratorie o dalle persistenti nebbie cognitive: “Un giorno ero a Roma alla cassa di un ospedale per pagare delle prestazioni e dalla mia testa sono improvvisamente spariti i numeri del Pin della mia carta. Eppure quel codice l’avevo usato fino a poco prima. Quei numeri non sono mai più tornati”.

 

Kerstin Sailer, Londra

Storie non solo italiane. Come Marta, anche la carriera di successo della professoressa londinese Kerstin Sailer, 46 anni, è stata sospesa a causa del Long Covid. Non, quindi, per mancanza di lavoro o crisi economica, ma per un’impossibilità della ragazza di continuare a svolgere le classiche attività del passato. La situazione è la medesima e le storie tutte molto simili: quando ha contratto il Covid aveva “il mal di testa, dolori muscolari, febbre, brividi. Pensavo che sarei rimasta a letto solo per una o due settimane e poi sarebbe andato tutto bene”. Ma dopo un paio di settimane, quando ha ripreso a lavorare, sono tornate stanchezza e dolori: “Ho detto a mio marito, Christian, che mi sentivo come se avessi un mattone costante sul petto, era così pesante. Se salivo una rampa di scale il mio cuore iniziava a battere forte e sarebbe rimasto così per minuti interi. Ero stanca tutto il tempo”.

Similmente a Marta, il Long Covid andò a infierire soprattutto sulla condizione lavorativa. Kerstin si prese tre settimane di ferie nel periodo natalizio di due anni fa, ma nel gennaio 2022 si rese conto di doversi licenziare in congedo per malattia. 14 mesi passò a casa prima di tornare a tempo parziale: “Sono contenta di tornare”, ha raccontato alla British Heart Foundation qualche mese fa, “ma sto riprendendo con calma, perché non sono tornata in piena salute”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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