Nel 2020, secondo un rapporto del Citizen Council for Public Safety and Criminal Justice di Città del Messico, sette delle dieci città più violente del mondo si trovavano in Messico. Nel 2022, nuovamente, cinque delle prime sei posizioni sono occupate da città messicane. Queste classifiche, nel dettaglio, si basano sul numero di omicidi ogni cento mila abitanti e il grande paese sudamericano oramai da anni occupa sempre le prime posizioni. Un’altra classifica, invece, secondo un rapporto della Global Initiative Against Transnational Organised Crime, ha invece affermato che il Messico risulta essere il quarto paese più criminale al mondo, solo dietro a Colombia, Congo e Myanmar.
Nonostante sia una delle principali destinazioni turistiche al mondo, perché il Messico risulta essere uno degli stati più pericolosi dell’intero pianeta? Cosa giustifica la diffusa violenza e la criminalità organizzata?
La violenza del Messico tra passato e presente
L’aumento della violenza in Messico, come possiamo immaginare, è il risultato di un sistema giudiziario multilivello e non coordinato, incapace di controllare le reti criminali sempre più frammentate e geograficamente disperse. Una guerra che, però, iniziò a tormentare il paese già diciassette anni fa. Dal 2006 al 2012, infatti, un’aspra battaglia contro i cartelli della droga ha lasciato il territorio di Città del Messico con un panorama frammentato dalla criminalità organizzata e significativi cambiamenti nella geografia della violenza. Le operazioni di sicurezza da parte dei militari si sono concentrate nelle grandi città del paese, costringendo le organizzazioni criminali a spostarsi e “sedimentarsi” nelle periferie e nelle zone rurali. Un secondo aumento esponenziale della violenza, di seguito, si è verificato immediatamente dopo il 2012, alimentato in particolare dal ritiro dell’esercito dallo stato messicano di Michoacán nel 2014 e dalla mancanza di applicazione locale delle nuove rotte di traffico emerse dopo la frattura di gruppi criminali più grandi.
Si è venuto così a formare un nuovo panorama criminale che, ad oggi, è privo di alcuna soluzione efficace. E i numeri degli ultimi anni confermano tale fenomeno. Tijuana, una delle più grandi città del territorio, risulta essere il paese con più omicidi ogni centomila abitanti (138), seguito da Acapulco (110). Dal 2015, il tasso nazionale di omicidi è aumentato del 76,3%, con il numero totale di omicidi che ha raggiunto in soli sette anni quota 211.000. Nel 2021, nonostante una piccola diminuzione rispetto agli anni precedenti, il tasso di omicidi in Messico è rimasto comunque vicino ai massimi storici, con 26,6 morti per 100.000 persone, ovvero oltre 34.000 vittime in un solo anno – che equivale ad una media di 94 omicidi al giorno. Anche l’anno scorso, nel 2022, sono oltre ventisei mila gli omicidi complessivi, che vanno a dimostrare quindi un’incapacità governativa di gestire il problema nonostante la relativa diminuzione della violenza nel periodo post pandemico.
Più in generale, ciò che favorisce tale fenomeno risulta essere la posizione del paese, con la sua lunga costa e la ricca biodiversità: ambiente ideale per il traffico di droga e di esseri umani, nonché grande vantaggio per il contrabbando di specie animali. Il livello di controllo delle mafie sullo Stato è enorme, così grande che non solo rende vulnerabile la sicurezza dei cittadini, ma che mette costantemente in pericolo anche la qualità democratica del Paese. Ogni anno si teme che la criminalità organizzata possa influenzare negativamente e manipolare le elezioni, a causa dei continui vuoti di potere delle autorità di sicurezza federali.
Vuoti di potere
Il primo e sicuramente principale problema di questa diffusa violenza e criminalità è l’assenza governativa e i vuoti di potere che da decenni caratterizzano lo stato sudamericano. Strategia costante e robusta di controllo territoriale e intelligence pro-attiva per identificare e prevedere gli effetti della cattura dei nuovi leader criminali; forza di polizia che operasse in reparti locali e flessibili, con l’obiettivo primo di catturare i piccoli criminali. Nessuna di queste operazioni elencate è stata attuata in Messico e i piccoli benefici ottenuti nelle aree urbane negli anni precedenti raggiunsero il limite in breve tempo e il Paese, ad oggi, non sembra più essere in grado di disegnare una strategia che possa contenere i nuovi attori criminali.
Un giudice assassinato a sangue freddo; membri del cartello che tentano una violenta evasione di prigione; cinque persone uccise in un bar di una celebre città portuale messicana. Sono solo alcune delle notizie giunte a dicembre 2022, in cui il Messico assistette ad un’escalation di violenza armata per tutto lo stato. Ondata di sangue e costante tamburo di conflitto che sottolinea il fallimento della strategia di sicurezza del presidente Andrés Manuel López Obrador, il quale continua a sfruttare la forza militare per combattere aspramente i cartelli della droga nonostante promise, di fatto, il contrario. Infatti, un secondo livello di problemi risulta essere l’assenza di investimenti per espandere le capacità delle istituzioni di pubblica sicurezza: le Forze Armate non possono continuare a fare i lavori che dovrebbero invece svolgere le forze di polizia, perché così facendo creano solamente un perverso incentivo a limitare la professionalizzazione dei dipartimenti di polizia, sempre più statica e – talvolta – legata alle bande criminali del paese.