Milano è la capitale della violenza?

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Ma Milan l’è on gran Milan”, scrivevano Giovanni D’Anzi e Alfredo Bracchi nel 1939, con la celebre canzone “Lassa pur ch’el mond el disa (ma Milan l’è on gran Milan)” e dopo il successo cinque anni prima con “Oh mia bela Madunina”. Ottantaquattro anni dopo, Milano non solo è conosciuta nel mondo intero per la moda e la sua ricchezza artistica; ma, negli ultimi anni, grandi fenomeni di violenza sembrano attanagliare la capitale economica d’Italia, rendendola sempre più un posto poco sicuro soprattutto per le giovani donne.

 

La violenza (penale) di Milano in numeri

Sono angosciata e amareggiata dalla violenza che continua a esserci a Milano. Ogni giorno ho conoscenti e cari che vengono rapinati in casa, piccoli negozi al dettaglio di quartiere che vengono svuotati dell’incasso giornaliero, persone fermate per strada con armi e derubate di tutto. La situazione è fuori controllo. Per noi e i nostri figli abbiamo bisogno di fare qualcosa”, così la nota influencer Chiara Ferragni scriveva il 13 luglio 2022, appellandosi addirittura al sindaco di Milano Beppe Sala nella risoluzione del problema.

Anche i numeri sembrano dar ragione alla Ferragni. Milano è la città del Nord Italia con il più alto tasso di reati penali denunciati: nel 2021, infatti, il capoluogo lombardo ha registrato 4.900 reati ogni 100mila abitanti. Denunce che riguardano soprattutto furti (2.208,7), furti su auto in sosta (311), furti con destrezza (425), furti in esercizi commerciali (175,3). Inoltre, un incremento si è registrato soprattutto per quei reati penali informatici (568,3), aumentati del 30,5% rispetto al 2020. Se la pandemia e il lockdown avevano arrestato bruscamente i furti e gli scippi, nel 2021 i ladri e borseggiatori sono tornati in azione: +35% scippi, +16% furti di auto e moto, +18% violenze sessuali. Inoltre, continuano ad aumentare le violenze urbane e le risse, con una media di ben 224 episodi di percosse e minacce ogni giorno.

A fronte di questi dati, la sicurezza cittadina è divenuto uno dei temi politici dominanti delle campagne elettorali rispetto a Milano; emergenza che ritorna, in un circolo infinito, dopo ogni fatto di cronaca denunciato. Eppure, le forze dell’ordine parlano di reati in calo e di indici sulla criminalità mai così bassi; e anche i numeri lo confermano: diminuzione del 60% di rapine in case e negozi, 50% in meno di rapine in negozi e meno 83% dei furti di auto e motorini.

 

Una città non sicura per le donne

Dopo quanto successe l’anno scorso, la notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio tra piazza Duomo e Galleria Vittorio Emanuele, quando due ragazze sono state aggredite, derubate e spogliate da una trentina di ragazzi poco più grandi di loro, in Italia e soprattutto a Milano non si fa altro che parlare di “emergenza stupri”, e si provano a cercare possibili soluzioni al problema.

Per esempio, i dati raccolti dalla rete antiviolenza di Milano (che conta nove centri antiviolenza e nove case-rifugio) evidenziano che, nei soli primi sei mesi del 2021, le beneficiarie dei servizi sono state 2.184 – dato che ovviamente non conta di tutte quelle vittime che non denunciano (sicuramente molte di più rispetto invece a coloro che non denunciano furti o scippi). La maggior parte di queste (64%) è di nazionalità italiana, con un età compresa tra i 19 e i 50 anni; in particolare, in più dell’80% dei casi la violenza è psicologica, nel 68% fisica e intorno al 25% addirittura sessuale ma, nella maggior parte dei casi, il maltrattante non è uno sconosciuto ma o il marito, o il convivente o l’ex fidanzato.

Siamo di fronte ad un tipo di sopraffazione culturale radicata, che esplode soprattutto in contesti di disagio culturale”, ha denunciato Diana De Marchi, ex presidentessa della Commissione per le Pari opportunità del Comune di Milano. “La città di Milano ha una rete antiviolenza che non ha eguali in Italia: è l’unica ad averne triplicato il finanziamento […] Il nostro tessuto sociale è purtroppo ancora intriso dalla cultura della sopraffazione”.

 

Le baby gang

Il caso di violenza più “particolare” e, soprattutto, più nuovo nel contesto milanese è quello delle baby gang, gruppi di ragazzi tra i dodici e i ventisei anni che, negli ultimi anni, spargono violenza e malessere per il capoluogo lombardo. Da tempo ormai, tra le continue critiche (spesso infondate) da parte di televisioni e giornali, si prova a delineare la “figura-tipo” del membro della baby gang, e le cause e le ragioni dietro a questa nuova violenza. Non sono dei criminali di professione, sono solo dei ragazzi che, dopo due anni di pandemia, non sanno come “sfogare diversamente la loro rabbia”, afferma un inquirente lombardo ad Open. Sono totalmente “disconnessi dal mondo, dalla realtà”, portando pestaggi e sangue molto spesso al limite dell’omicidio.

Sicuramente un fenomeno non del tutto nuovo, ma aspramente aumentato dopo due anni di pandemia e di lockdown, o alla ricerca di “divertimento” alternativo o – molto spesso – il modo più semplice per liberare la propria frustrazione. Il tutto alimentato dai social, nei quali questi ragazzi pubblicano le loro azioni: la voglia di mostrarsi mediatamente riesce a prevalere sulla percezione del rischio, di fornire materiale “prezioso” a chi indaga.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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