Nahel M.: morto a Nanterre per abuso di potere

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Poiché evitabili, alcuni drammi suscitano un’emozione particolare e comprensibile, sintetizzabile nel termine “rabbia”. È caso della morte di Nahel M., diciassette anni, colpito a distanza ravvicinata da un poliziotto motociclista quando si è rifiutato di obbedire agli ordini, martedì 27 giugno a Nanterre, in Francia. Un evento che riporta alla mente l’omicidio di George Floyd, afroamericano soffocato a morte da un poliziotto di Minneapolis nel maggio 2020 e che rilanciò in tutto il globo il movimento Black Lives Metter. Una morte che, tuttavia, ha riacceso le proteste e la cieca violenza in suolo parigino (dopo le giornate di fuoco durante la controversa riforma pensionistica) e che conferma la necessità di ristudiare le tecniche di controllo da parte delle forze di polizia.

 

Nahel morto per abuso di potere

C’è poco da fare: come nell’evento riguardante l’americano George Floyd, anche durante questo controllo di polizia un video ha messo alle strette l’abuso di potere delle autorità. Scontro che riassume con estrema semplicità le complicate relazioni tra alcune periferie francesi e le cariche pubbliche. Rapporto raccontato perfettamente dal corrispondente El Mundo da Parigi: “In questi luoghi marginali e spesso abbandonati, dove si insinua il malcontento, il modello di integrazione ha fallito. Vi abitano per lo più francesi di origine straniera […] nati in una Francia che li tratta, secondo loro, come cittadini di serie B. […] Sono sospettosi della polizia, che è sospettosa di loro. Tale è il brodo della cultura in cui il fuoco prende episodicamente”.

Nulla di nuovo insomma. Niente che faccia vedere un minimo di spiraglio per un futuro migliore. Poco dopo le nove del mattino Nahel è stato colpito a morte al petto, a bruciapelo, al volante della sua Mercedes per essersi allontanato durante un controllo del traffico della polizia. “Un rifiuto di fermarsi non ti dà la licenza di uccidere”, ha reclamato il leader del Partito Socialista Olivier Faure. “Tutti i bambini della Repubblica hanno diritto alla giustizia”. Nessuna giustizia, tuttavia, è stata fatta. Nahel aveva fatto parte di un programma di integrazione per adolescenti in difficoltà a scuola, gestito da un’associazione chiamata Ovale Citoyen. Programma che aveva lo scopo di portare persone provenienti da aree svantaggiare in apprendistato, tra cui Nahel che stava imparando a diventare un elettricista. “Era qualcuno che aveva la volontà di inserirsi socialmente e professionalmente, non un ragazzino che spacciava droga o si divertiva con la criminalità minorile”, ha sottolineato il presidente dell’associazione Ovale Citoyen Jeff Puech a Le Parisien.

 

Una reazione di pura rabbia

Ad ogni azione corrisponde una reazione, eguale e contraria. L’uccisione del diciassettenne Nahel ha scioccato l’intera Francia e, di conseguenza, ha suscitato estreme tensioni tra i giovani e la polizia nei quartieri e nelle banlieue francesi. Gli scontri sono scoppiati per la prima volta martedì notte, dentro e intorno al sobborgo parigino di Nanterre, luogo dove è avvenuto l’omicidio. Il giorno seguente, invece, il governo si è visto costretto a dispiegare due mila poliziotti per mantenere l’ordine, contenere i manifestanti e spegnere i numerosi incendi che hanno danneggiato scuole, stazioni di polizia, municipi e altri edifici pubblici. Da questo momento in poi, il caos: giorni di estrema violenza pubblica da parte di molti giovani francesi, che hanno incendiato automobili e saccheggiato negozi. Una reazione condannata anche dallo stesso presidente Emmanuel Macron, definendola come una “situazione inaccettabile”. “Niente giustifica la violenza”, ha aggiunto il capo di Stato: “C’è una strumentalizzazione inaccettabile della morte di un adolescente, che tutti deploriamo, quando il periodo dovrebbe essere di meditazione e rispetto”. Oltre 40.000 forze di polizia sono state dispiegate e circa 900 persone, tra cui molti giovanissimi, sono state arrestate per vandalismo e violenza.

Una reazione – quella delle giovani generazioni – sbagliata, ma giusta, che allontana tuttavia sempre più le possibilità di “rappacificazione” tra due fazioni completamente inconciliabili. “La sparatoria di Nanterre è destinata a diventare uno di quei momenti emblematici dei rapporti travagliati tra la polizia e la popolazione disagiata delle periferie. Il governo se ne rende conto come chiunque altro, motivo per cui agirà con molta cautela nei giorni a venire”, ricorda il corrispondente della BBC a Parigi. “Nessuno contesta che il rifiuto di ottemperare sia un reato grave […] Ma in tredici occasioni l’anno scorso, gli occupanti di auto in queste situazioni sono stati uccisi dalla polizia francese. Questo suggerisce fortemente che qualcosa non va”.

In Francia (e non solo qui), la polizia protegge prima sé stessa e lo Stato; poi, forse, i cittadini. È una cattiva “tradizione” e fino a quando ciò non cambierà, tali incidenti continueranno a ripetersi.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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