Non è solo l’Europa che, spesso, rifiuta di aiutare le migliaia di migranti che sfuggono dalla fame o dalla guerra. Grandi tragedie non si vedono solo nel Mar Mediterraneo – come la recente tragedia davanti alle coste della Grecia o l’opposizione continua del Regno Unito; simili reazioni si hanno direttamente anche nei paesi nordafricani, come quello che sta accadendo attualmente in Tunisia. Dalla morte, il 3 luglio, di un tunisino durante gli scontri a Sfax tra alcuni abitanti del territorio di Tunisi e migranti subsahariani, lo Stato è stato letteralmente flagellato da violenze razziste, addirittura incoraggiare dallo stesso presidente Kaïs Saïed. Da allora, diverse centinaia di persone, tra cui molte donne e bambini, sono state escluse da Sfax e riportare ai confini libico e algerino.
Lo slogan “Aiutiamoli a casa loro!” in Tunisia
Quando sei nei guai, la colpa ricade quasi sempre su un “nemico”, oggigiorno sui migranti o alle minoranze etniche. È una tattica oramai più che collaudata da molte classi politiche, per vincere le elezioni o sostenere il declino della propria popolarità. Un “nazionalismo razzista” identificabile perfettamente nella figura del presidente della Tunisia Kaïs Saïed, alle prese con una guerra verbale verso le orde di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana.
Dichiarazioni alquanto spaventose incrementatesi già a febbraio, quando Saïed suggerì che l’arrivo di migranti sub-sahariani facesse parte di un complotto per indebolire l’identità arabo-islamica del paese: “Esiste un piano criminale per modificare la composizione del panorama demografico in Tunisia, e alcuni individui hanno ricevuto ingenti somme di denaro per dare residenza a migranti sub-sahariani”, narrava il 21 febbraio in un comunicato dalla Presidenza della Repubblica. Successivamente, durante un consiglio di sicurezza nazionale convocato sull’argomento, Saïed ha parlato di “orde di migranti illegali” la cui presenza in Tunisia non è altro che una fonte di “violenza, criminalità e atti inaccettabili” e insistendo sulla “necessità di porre fine rapidamente” a questa immigrazione.
Una retorica (classica) che non solo ha portato a grandi violenze all’interno del territorio di Tunisi, ma che ha sottolineato – sempre secondo le parole del presidente – la “volontà di fare della Tunisia solo un altro Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico”; un’oratoria assolutamente vicina alle teorie di estrema destra in Francia contro le banlieue. Ed è proprio della Francia che parleremo di seguito, anch’essa, in qualche modo, colpita da questa violenza tunisina (e oramai non in grado di uscire da questa particolare spirale di proteste).
La rivolta tunisina in Francia
Al mercato di Belleville, a Parigi, la mancanza di empatia nei confronti dei migranti sub-sahariani è più forte che mai. “Prima li combattavamo, ora stuprano le donne e uccidono”, afferma un anonimo passante. “Che siano rispediti nel deserto!”, aggiunge un altro. Un’opposizione che si affianca, invece, al supporto che molte persone hanno nei confronti dei migranti sub-sahariani: “Mentre i tunisini possono subire questa situazione in Francia, noi tunisini esercitiamo la stessa cosa sui nostri fratelli africani?”, chiede indignata Fatma Bouvet de la Maissonneuve, psichiatra e scrittrice franco-tunisina. Tunisini che, ogni anno, affrontano anch’essi lunghi viaggi per il Mar Mediterraneo verso le nostre coste italiane, al pari dei migranti dell’Africa sub-sahariana (in particolare, tra gennaio e maggio 2023, 3.432 tunisini hanno raggiunto la nostra penisola).
Un atteggiamento e sentimenti contrapposti che, tuttavia, stanno caratterizzando la grande diaspora tunisina in Francia – che nel 2022 contava addirittura 328.000 persone, secondo l’Istituto nazionale di statistica e studi economici (Insee). Alcuni, infatti, continuano a condannare la violenza contro i migranti, altri invece la loro presenza sul suolo della Tunisia e sostengono la politica del governo e della presidenza di Kaïs Saïed.