“Fuoco!”. L’unica parola di Ed White. Poi l’inconfondibile voce profonda di Gus Grissom: “Ho un incendio nella cabina di pilotaggio!”. Di seguito, stesse parole del terzo membro dell’equipaggio, Roger Chaffee: “Fuoco!”. Una trasmissione confusa e poi la supplica finale: “Portaci fuori!”. Pochi secondi di caos, con parole conosciute solo da Dio, seguite da un tragico e spaventoso urlo. Dopo di ciò, silenzio.
Furono queste le ultime parole pronunciate dall’equipaggio dell’Apollo 1, la sera del 27 gennaio 1967, in quella che sarebbe dovuta divenire la prima missione degli Stati Uniti destinata a portare i primi esseri umani sulla Luna.
Gli eventi prima della tragedia dell’Apollo 1
Gli anni Sessanta furono una vera e propria “gara spaziale”, una corsa alla conquista del cosmo tra le due Superpotenze della Guerra Fredda, Stati Uniti e URSS. Quest’ultimi, contro ogni pronostico, sembravano essere i favoriti per portare i primi uomini sulla Luna quando, il 12 aprile 1961, la nave spaziale sovietica “Vostok” portò l’astronauta Jurij Alekseevič Gagarin a compiere il primo volo fuori dall’atmosfera terrestre. Diversi anni di vera e propria “battaglia spaziale”, test e ricerche scientifiche si susseguirono durante questo decennio, fino al 27 gennaio 1967 quando si consumò una delle peggiori tragedie nella storia del volo spaziale.
Facciamo un po’ di chiarezza. L’equipaggio dell’Apollo 1 – prima della sua tragica missione – sapeva che la loro nave non avrebbe mai potuto raggiungere il nostro satellite. Non era previsto non solo perché la navicella non aveva nessun sistema di navigazione spaziale adatto o non era dotata degli strumenti di attracco necessari per un tale viaggio, ma anche per il suo cablaggio difettoso, un software scadente, valvole poco rassicuranti e dozzine di problemi tecnici irrisolti. La guerra spaziale contro l’URSS, però, doveva essere vinta e, di conseguenza, qualcuno doveva salire su quelle navicelle. In particolare, in questo fatidico giorno, l’equipaggio designato si sarebbe dovuto preparare per un decollo simulato, esercitandosi in tutti i passi che avrebbero poi dovuto compiere nella missione ufficiale del 21 febbraio.
Più nel dettaglio, il primo appaltatore “North American Aviation”, venne più volte duramente accusato di scarsa fattura e standard di sicurezza permissivi; in particolare, sfidò la scienza affermando la necessità di possedere ossigeno puro all’interno della capsula dell’equipaggio: una scelta sicuramente meno impegnativa dal punto di vista tecnico rispetto alla composizione di una miscela ossigeno-azoto simile alla Terra, ma che rappresentava estremi rischi d’incendio.
Sullo sfondo di questo palpabile senso di disagio si giunse al 1967. Virgil ‘Gus’ Grissom, comandante e secondo uomo americano ad andare nello spazio, Ed White, il primo astronauta degli USA, e l’energico novellino Roger Chaffee divennero la squadra che avrebbe dovuto affrontare il test la sera del 27 gennaio. L’obiettivo di un mese dopo sarebbe stato quello di far volare un razzo Saturn IB di quindici piani nell’orbita terrestre per un periodo di tempo di due settimane. Lo stesso Grissom nutriva poca fiducia nella sua nave tanto che, durante un’intervista prima del test, quando un giornalista gli chiese cosa avrebbe potuto rendere l’Apollo 1 un successo, egli rispose che riportare a casa i suoi uomini vivi sarebbe stato più che sufficiente. La notte prima del test, addirittura, il collega astronauta Wally Schirra prese da parte Grissom: “Se riscontri il minimo problema tecnico vattene da lì. Non mi piace”. Ma, come già affermato in precedenza, c’era una guerra spaziale da dover vincere; e nessuno poteva fermare gli Stati Uniti dal raggiungere il loro obiettivo.
Il fuoco fatale
Come ne “Il Fuoco” di Gabriele D’Annunzio del 1900, la tragica storia dell’Apollo 1 racchiude in sé un quadro più ampio di complesse e tempestose relazioni. La Guerra Fredda, e più in particolare la corsa allo spazio, fu un’irrequieta gara tra le due grandi nazioni per guadagnarsi l’amata irraggiungibile, la Luna.
Torniamo, però, alla nostra storia. Alle 13:00 del 27 gennaio, vestiti con le loro tute spaziali, l’equipaggio dell’Apollo 1 si fece ritrarre in un’immagine alquanto bizzarra: con le teste chine, camminavano verso lo sportello d’ingresso, probabilmente pregando che gli dei dello spazio potessero garantirgli una buona fortuna. Come per ironia della sorte, appena entrati nella capsula del Pad-34, emersero una serie di problemi minori che ritardarono notevolmente il test e, successivamente, un errore nelle comunicazioni costrinse a sospendere il conteggio alle 17:40. “Come andremo sulla Luna se non siamo in grado di comunicare tra tre edifici?”, domandò ironicamente il comandante Grissom dopo quasi un’ora. Probabilmente furono queste le sue ultime parole prima che, alle 18:31, un picco nelle letture della tensione venne registrato all’interno della cabina, ad indicare un probabile cortocircuito. Pochi secondi dopo si sente urlare al microfono uno degli astronauti – probabilmente Chaffee – quello che suona come “Fiamme!”. I tecnici nelle vicinanze cercarono invano di raggiungere il portello d’ingresso, ma vennero ripetutamente respinti dal caldo e dal fumo. Quando riuscirono ad aprile la capsula dopo circa cinque minuti dopo l’inizio dell’incendio gli astronauti erano già morti, probabilmente entro i primi trenta secondi, a causa dell’immensa dispersione del fuoco in una camera piena di ossigeno puro, dell’inalazione di fumo e delle ustioni. Il programma venne immediatamente sospeso dopo l’incidente dell’Apollo 1 e un’indagine approfondita affermò che la causa più probabile fosse stata una scintilla causata da un cortocircuito di un fascio di fili che correva a sinistra, proprio davanti al sedile di Grissom.
Come ben sappiamo, la corsa allo spazio venne vinta dagli Stati Uniti. Oltre due anni dopo, il 20 luglio 1969, l’equipaggio dell’Apollo 11 riuscì a compiere i primi passi sul suolo lunare, incoronando gli USA come “conquistatori del cosmo”. Una vittoria che, tuttavia, deve fare i conti con questo incidente e tanti altri susseguitesi nel corso degli anni Sessanta.
“Abbiamo sempre saputo che prima o poi sarebbe successo qualcosa del genere, ma non sarà permesso fermare il programma. … Sebbene tutti si rendessero conto che un giorno i piloti spaziali sarebbero morti, chi avrebbe mai pensato che la prima tragedia sarebbe avvenuta a terra?” L’amministratore della NASA, James E. Webb.