Diderot e Caterina II: universalismo e pragmatismo

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Nel corso della storia centinaia di filosofi hanno provato a sfidare il carattere pragmatico della Russia, sogni di riforma schiantatisi contro la fermezza del realismo sovietico. Pensiamo, per esempio, al cosmismo russo, pensiero nato nell’Ottocento dallo studioso Nikolai Fyodorov, che provò ad espandere nel territorio di Mosca una filosofia della scienza profondamente morale e cristiana, accompagnata però dal forte credo che l’umanità potesse impiegare il progresso tecnologico per raggiungere la salvezza universale. Un progetto che, seppur in altre parti del mondo (soprattutto oggi con figure come Elon Musk o Peter Thiel) ebbe enorme successo e riscoperta, nella Russia attuale trova pochi spunti e poca considerazione.

Uno scontro, quello con il pragmatismo russo, che vide come protagonista anche uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo settecentesco, Denis Diderot (1713-1784), il quale negli ultimi anni di vita provò ad affrontare la sagacità della zarina Caterina II, convinta sì della necessità di modernizzazione di Mosca, ma lontana dagli ideali universalistici del grande filosofo francese.

 

Diderot e Caterina II: due poli troppo opposti

Geniale ed enciclopedico; tuttavia, drammatico e ipocondriaco. In grado di affascinare chiunque con la sua colta parlantina e potenza oratoria, Denis Diderot accolse a pieno il fascino dell’Illuminismo francese, convinto della natura benigna dell’uomo e della necessità del predominio della legge e del popolo. Praticamente all’opposto, coltissima e sagace e attenta agli spunti filosofici esteri, Caterina II divenne nel 1762 zarina della grande Russia, in grado di rivoluzionarla e portarla sul tetto del mondo come uno degli Stati più potenti. Comprendendo la necessità di eliminare quella vestaglia medievale che tanto frenava l’enorme paese, d’altro canto non fu mai predisposta a privarsi di parte del potere o ascoltare le critiche illuministiche che provavano a farle cambiare idea sulla sua linea di potere.

Dopo un lunghissimo rapporto epistolare, il piuttosto malaticcio Diderot si convinse della necessità di viaggiare verso San Pietroburgo per incontrare la sovrana, nel 1773. “Il suo arrivo avrebbe dovuto trasformarsi in un trionfo di modernità”, scrive Matteo Sacchi de Il Giornale, giro di boa per il comando della Russia e consacrazione intellettuale. Tuttavia, già l’anno seguente la magia s’era già più che spenta e uno stanchissimo Diderot tornava in carrozza verso l’Europa. Tutto ciò perché ad inserirsi nella relazione tra i due arrivò una difficile e cieca “terza incomoda”: la storia pragmatica della Russia.

Una storia di neanche un anno non è considerabile storia. È una vicenda che dura troppo poco per rimanere sui libri. Ciò nonostante, questo breve incontro non è altro che un’ottima cartina per studiare non solo il poco impatto che l’Illuminismo ebbe in molti stati al di fuori dell’Europa, ma soprattutto traccia il percorso di un rapporto giocato sul sottile crinale che separa la cultura e la politica. L’Illuminismo francese voleva cambiare la Russia, renderla “illuminata”; era la Russia, però, che non voleva cambiare. Un ballo – quello tra San Pietroburgo e l’Illuminismo e, in corrispondenza, tra la zarina e il filosofo francese – che, sicuramente, sarebbe terminato sul nascere fin già dall’incipit con cui Diderot si presentò alle porte di Caterina II: “Se leggendo quanto ho appena scritto e ascoltando la sua coscienza, il cuore le sussulta di gioia, ella non vuole più schiavi, se frem, se il sangue le gela nelle vene, se impallidisce, si è creduta migliore di quello che era”. Speranza, più che certezza, distruttasi contro le parole della zarina: “Queste non sono altro che ciance […] I vostri alti principi, che comprendo benissimo, sono buoni per i libri e pessimi per la pratica. Voi lavorate sulla carta che accetta ogni cosa… Ma io, una povera imperatrice, lavoro sulla pelle umana, che è molto sensibile e irritabile”.

 

Lontani, ma così vicini

La separazione di Diderot e Caterina II segnò definitivamente l’accettazione di due dottrine filosofiche completamente differenti. La zarina scelse la linea di Montesquieu nello “Spirito delle Leggi, che vedeva per popoli diversi la necessità di istituzioni diverse; proprio agli antipodi dell’universalismo di Diderot.

Questo incontro-scontro e la sua tragica fine hanno segnato definitivamente la rottura della Russia con l’Illuminismo. O, ancora meglio, il dissidio di Mosca/San Pietroburgo con qualunque possibilità di universalismo e condivisione internazionale. Elemento che, in maniera alquanto particolare, permane ancora oggi: nel corso della storia contemporanea sono state decine i tentativi di accogliere la Russia nelle braccia universalistiche occidentali (pensiamo, come caso alquanto divertente, alla stretta di mano tra Bush e Putin con “mediatore” Silvio Berlusconi); tutti con scarsi risultati. Ancora oggi Mosca è in guerra con l’Occidente e le tensioni probabilmente superano quelle che c’erano durante il periodo della Guerra Fredda. La storicità della Russia non permette, per ora, di aprire spazi ad un modello di vita politico non pragmatico, non territoriale e, come Diderot, siamo costretti ancora oggi a tornare in patria sulla nostra “carrozza universalistica”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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