Gino Bartali: storia di un “Giusto tra le Nazioni”

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Questa storia non l’ho letta su qualche media, giornale o vista su qualche video TikTok. Raramente sento parlare in televisione o sui social di Gino Bartali e in pochi raccontano la sua incredibile storia. Un racconto che, infatti, mi è sempre stato narrato da mio nonno fin da quando ero piccolo, sempre commosso ogni volta che ne parlava e sempre pronto a ri-raccontarla ogni qualvolta ci fosse l’occasione.

Una storia non solo caratterizzata da enormi trionfi ciclistici o dalle faide sportive con Fausto Coppi; ma un vero e proprio romanzo di profonda umanità in uno dei periodi più bui del nostro paese: la Seconda guerra mondiale. Una storia tanto ricca di coraggio e pericolo che, nel 2013 (tredici anni dopo la sua morte) gli assicurarono dallo Stato di Israele il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, per essersi prodigato, a rischio della vita, in favore di numerosi ebrei ai tempi delle persecuzioni nazifasciste.

 

Prima della guerra mondiale: chi fu Gino Bartali

Gino Bartali fu una delle figure sportive più amate nel nostro paese. Grandissimo campione di ciclismo legato ad alcune delle imprese più leggendarie di questo sport: dal Giro d’Italia vinto ad appena ventidue anni nel 1936 al fantasmagorico Tour de France dominato nel 1948, passando ovviamente per la magnifica rivalità con il grande Fausto Coppi e tutti gli altri innumerevoli trionfi. “Ginettaccio” – così veniva chiamato per il suo carattere talvolta spigoloso – nacque nel 1914 a Ponte a Ema, un piccolo paese a sud di Firenze e, all’età di undici anni, fu costretto a procurarsi un mezzo di trasporto per poter frequentare la scuola media a Firenze. Usando parte dei suoi guadagni e grazie all’aiuto dei genitori, Gino riuscì ad acquistare la sua prima bicicletta e, successivamente, cominciò a sviluppare e poi raffinare le sue doti di ciclista e corridore per le colline toscane. Se nel 1931, all’età di diciassette anni, vinse la sua prima corsa, Gino Bartali divenne un corridore professionista nel 1935 e solamente l’anno successivo vinse il suo primo Giro d’Italia.

Prima di raccontare la più grande vittoria di Gino, però, possiamo già anticipare la sua “antipatia” e opposizione al regime fascista durante il Tour de France del 1938. Per accrescere infatti la reputazione del ciclismo italiano all’estero, la Federazione Ciclistica Italiana – ovviamente sotto il rigido controllo di Mussolini e del Fascismo – lo costrinse a gareggiare nel Tour de France nonostante non si sentisse ancora pronto. Il Fascismo ovviamente sperava che una vittoria in una delle gare più prestigiose al mondo avrebbe potuto dimostrare la superiorità del regime e della “razza italiana”. E così fu, perché ovviamente il talento di Gino Bartali riuscì a portare a casa la coppa, ma le cose non andarono come sperate: Gino non dedicò – come d’obbligo – la vittoria al Duce e, di conseguenza, nessun onore spettato venne ricevuto dal campione.

 

La vittoria contro il Fascismo

Il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna e Bartali fu richiamato nell’esercito. A causa di un’aritmia cardiaca, tuttavia, gli fu affidato il ruolo di staffetta, compito per il quale potè continuare a usare la bicicletta per portare risorse e alimenti all’esercito e alle città colpite maggiormente dal conflitto. Così, per i successivi tre anni, Bartali potè continuare ad allenarsi e a gareggiare e, soprattutto, vincere la sua più grande sfida.

L’autunno del 1943 è stato uno dei momenti più terribili della guerra”, racconta Simone Dini Gandini, autore de “La bicicletta di Bartali”. “Bartali iniziò a trasportare documenti falsi da Assisi, dove c’era una stamperia clandestina, al vescovo di Firenze che poi li distribuiva agli ebrei per farli espatriare. Percorreva 185 chilometri avanti e indietro in un solo giorno: se fosse stato scoperto sarebbe andato incontro alla fucilazione”. Lo spigoloso Ginettaccio passò i tre anni di servizio a nascondere centinaia di documenti nel telaio della sua bicicletta. Era Gino Bartali, uno dei più importanti campioni di ciclismo italiani: nessuno poteva sospettare di niente. Ancor più che un grande campione, quindi, Bartali fu un eroe, un giusto e soprattutto un uomo che rischiò di opporsi al regime fascista pur di salvare vite innocenti. Sono 800 gli ebrei salvati dalla morte durante la guerra, un segreto tenuto nascosto per tutta la vita dal campione e dichiarato solamente pochi anni prima della sua morte, nel 2000.

Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita, e i francesi ci rispettano che le balle ancora gli girano, e tu mi fai – dobbiamo andare al cine – e vai al cine, vacci tu”, così cantava Paolo Conte, per ricordare Gino Bartali morto nel 2000 a 86 anni. Una storia che, fortunatamente, ricevette (seppur da postumo) i giusti ringraziamenti: nel 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli riconobbe la medaglia d’oro al merito civile; il 2 ottobre 2011 venne inserito tra i “Giusti dell’Olocausto” nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova e, il 23 settembre 2013, venne dichiarato addirittura “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah: il suo nome, quindi, verrà eternamente ricordato da una stele sul monte Herzl, nei pressi di Gerusalemme.

 

Il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca” – Gino Bartali.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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