Il Castello di Santa Catalina a Jaén, Andalucìa (2)

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A nord e a ovest la campagna e la Sierra morena, grande territorio fertile solcato dalla valle del fiume Guadalquivir e luogo ricco di ulivi; a sud si estende la Sierra Sur de Jaén e i parchi di Santa Catalina e Conte la Sierra; ad est, infine, la Sierra Màgina, territorio legato per secoli al confine del Regno di Granada. Questa è l’immensa vista che si può ammirare dalla cima del Castello di Santa Catalina, il quale sorge su uno dei luoghi più spettacolari della provincia di Jaén, la seconda tappa di questo nostro viaggio in Andalucìa. Dominando la collina, il Castello è composto da un complesso recinto murato difeso da sei torri e dal quale si può ammirare la bellezza di uno dei principali luoghi produttori al mondo di olio d’oliva.

 

La storia del Castello di Santa Catalina

La storia di questo castello è estremamente lunga e articolata, con origini addirittura nel IV secolo a.C. I primi insediamenti documentati, infatti, risalgono alla civiltà iberica, che si insediò principalmente sul versante settentrionale e con la costruzione di un oppidum – una città murata – ai piedi del castello, di cui si conservano ancora resti archeologici. Successivamente, prima i romani e poi gli arabi riutilizzarono parte di queste antiche strutture per costruire le loro fortificazioni.

Verso la metà del IX secolo, quando Abd al-Rahman II era emiro di Córdoba, Jaén iniziò a prendere la forma di una vera e propria città e, soprattutto, capitale dell’area circostante. Da questo momento gli arabi iniziarono a costruire le prime basi della fortezza e del castello (oltre alla Moschea della Maddalena), e iniziò a svilupparsi la struttura di quello che sarebbe divenuto il primo quartiere arabo. Anche durante i periodi dell’Emirato e del Califfato – tra il IX e il X secolo -, gli arabi continuarono a sviluppare le mura del Castello e, in generale, di tutta la città di Jaén, soprattutto per la presenza dei cristiani che stavano diventando sempre più forti dopo la grande vittoria nella battaglia di Navas de Tolosa nel 1212.

Dopo due tentativi di assedio nel 1151 e nel 1152 dal re Alfonso VII, e solo dopo altri tre attacchi – nel 1225, 1230 e 1246 – il re Ferdinando III riuscì a conquistare la zona e a strappare la città dalle mani del re Alhamar di Granada, costretto a firmare un accordo in cui si dichiarava servitore del Regno di Castiglia. Dall’influenza araba si passò a quella cristiana. Quando Jaén entrò a far parte del Regno di Castiglia, sembrava una classica città araba: i cristiani, ovviamente contrari, costruirono un nuovo castello in pietre lavorate – il Castello di Santa Catalina – proprio sopra i resti dell’antico castello arabo. Dopo svariati tentativi di riconquista araba fino al 1465, quest’ultimi vennero cacciati dalla città nel XVI e XVII secolo e Jaén cominciò una forte crescita ad influenza cristiana, con la ricostruzione di mura, porte e torri.

Infine, i cambiamenti più profondi per la fortezza avvennero nella Guerra dell’Indipendenza, il conflitto più lungo delle guerre napoleoniche e combattuto nella penisola iberica tra l’alleanza di Spagna, Portogallo e Regno Unito contro il Primo Impero Francese. Tra il gennaio 1810 e il settembre 1812, l’esercito napoleonico trasformò il Castello in una delle più importanti basi dell’esercito. La successiva sconfitta di Napoleone nella battaglia di Bailén portò ad una distruzione volontaria di alcune parti interne dell’edificio, cominciando un periodo di degrado e abbandono del Castello fino al 1931, quando fu dichiarato Monumento Storico Artistico.

 

La leggenda del Castello

Il Castello di Santa Catalina rappresenta uno degli esempi più importanti del rapporto e dell’influenza arabo-cristiana nel territorio dell’Andalucìa. Un rapporto raramente pacifico ma che ha permesso di portare fino ai giorni d’oggi complesse strutture artistiche ibride, un po’ arabe e un po’ cristiane.

Il Castello e la sua lunga storia ha generato nel tempo una serie di leggende. La più importante è sicuramente quella della Camera delle Statuette, descritta al meglio nel libro “A Universal History of Infamy” dello scrittore argentino Jorge Luis Borges. Nell’antico Castello c’era una camera segreta con una porta e un robusto chiavistello. Ogni re aggiungeva un nuovo chiavistello alla fine del suo regno, per un totale quindi di ben 24 chiavistelli a protezione della porta. Un giorno, un uomo malvagio vinse il trono e si rifiutò di aggiungere un altro chiavistello, infrangendo la tradizione. Dietro la porta, con sua sorpresa, trovò un rilievo in metallo e legno raffigurante temibili guerrieri arabi a cavallo di cammelli. Sul rilievo c’era un’iscrizione raffigurante una profezia che, alla fine, si avverò: “Un re arabo, Tarik, prese la fortezza, sconfisse e uccise il re e vendette moglie e figli come schiavi”.

Arienti Stefano

Arienti Stefano

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